La pre­ca­rie­tà fa male, lo sanno quan­ti o quan­te per anni hanno vis­su­to una sorta di Via Cru­cis tra con­trat­ti a tempo de­ter­mi­na­to e di col­la­bo­ra­zio­ne prima di con­qui­sta­re, ma­ga­ri in età avan­za­ta, il fa­ti­di­co posto fisso.

Nove anni di bloc­co delle as­sun­zio­ni nella Pub­bli­ca am­mi­ni­stra­zio­ne, as­sun­zio­ni con con­trat­ti pre­ca­ri nel pri­va­to, nes­sun per­cor­so for­ma­ti­vo verso i nuovi la­vo­ri, porte chiu­se del mer­ca­to (ap­pun­to il mer­ca­to) alle gio­va­ni ge­ne­ra­zio­ni trop­po ine­sper­te e con poche spe­cia­liz­za­zio­ni che si ac­qui­si­sco­no la­vo­ran­do. E i vec­chi espul­si dai cicli pro­dut­ti­vi? Trop­po co­sto­si, ma so­prat­tut­to con un mar­gi­ne tem­po­ra­le di sfrut­ta­men­to ri­dot­to che spin­ge i da­to­ri a cer­ca­re solo con­trat­ti di con­su­len­za o de­lo­ca­liz­za­re le pro­du­zio­ni dove il costo della ma­no­do­pe­ra è ri­dot­to ai mi­ni­mi ter­mi­ni

In nome della fles­si­bi­li­tà hanno così pre­ca­riz­za­to il la­vo­ro che nei pros­si­mi anni avre­mo pen­sio­na­ti da fame, con pochi con­tri­bu­ti pre­vi­den­zia­li, che lo Stato dovrà so­ste­ne­re in vir­tu’ degli as­se­gni trop­po bassi.

Sem­pre in nome della pre­ca­rie­tà hanno sen­ten­zia­to che i gio­va­ni ita­lia­ni sono trop­po le­ga­ti alla fa­mi­glia ma non esi­ste nel paese alcun in­cen­ti­vo reale che per­met­ta di ac­cet­ta­re un la­vo­ro in una altra città tro­van­do una abi­ta­zio­ne non a prez­zi così ele­va­ti da bru­cia­re i due terzi dello sti­pen­dio. 

Si fa pre­sto a par­la­re di mo­bi­li­tà in un paese dove l’a­scen­so­re so­cia­le è fermo da 20 anni, con tante trat­te fer­ro­via­rie so­sti­tui­te dalla co­sto­sa alta ve­lo­ci­tà, in Ita­lia si tra­scor­ro­no ore in mac­chi­na per gli spo­sta­men­ti gior­na­lie­ri, qual­cu­no con­ti­nua a pen­sa­re a gran­di opere quan­do ba­ste­reb­be ri­pri­sti­na­re le trat­te fer­ro­via­rie o cor­rie­re su gomma con orari de­cen­ti.

Si fa pre­sto a par­la­re di fles­si­bi­li­tà quan­do le no­stre esi­sten­ze sono così pre­ca­rie da non pre­ve­de­re fa­mi­glia e figli se non dopo i 35 anni, dieci o 15 anni dopo l’età in cui si spo­sa­va­no i no­stri padri.

Bi­so­gna es­se­re fles­si­bi­li, ce lo ri­pe­to­no fin dalle ele­men­ta­ri ma quel­la fles­si­bi­li­tà è di­ve­nu­ta si­no­ni­mo di su­pi­na ac­cet­ta­zio­ne di con­trat­ti da fame, la­vo­ri per poche ore e mal pa­ga­ti, con una scuo­la che ci forma poco e male. Dati alla mano sono pochi a tro­va­re un la­vo­ro in base ai ti­to­li di stu­dio e poi l’ac­ces­so al­l’u­ni­ver­si­tà è sem­pre più ri­dot­to per i costi delle tasse e per­ché il di­rit­to alla istru­zio­ne è ormai ri­dot­to a poca cosa.

Que­ste sono le au­ten­ti­che prio­ri­tà di un paese vec­chio, stan­co e im­pau­ri­to che ha de­lo­ca­liz­za­to pro­du­zio­ni, pre­ca­riz­za­to le no­stre vite di­strug­gen­do l’i­stru­zio­ne pub­bli­ca.

Re­da­zio­ne pi­sa­na di Lotta Con­ti­nua

Da: http://​delegati-​lavoratori-​ind​ipen​dent​i-​pisa.​blogspot.​com

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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