Savino Balzano

Emma Bonino continua a presentarsi come la saggia europeista del Parlamento italiano e colpisce (i più sprovveduti) il fatto che non abbia concesso la fiducia al Governo dopo un discorso del Presidente del Consiglio che definire supino a Bruxelles è davvero poco.

A mio avviso, ma premetto che si tratta di una illazione, la ragione è riconducibile al fatto che non siano stati riconosciuti (a lei o a chi dice lei) incarichi governativi.

Detto questo, mi preme ricordare un fatto storico di grande importanza che è invece bene tenere a mente, soprattutto è bene che lo rammenti chi vede nella Bonino una figura di grande prestigio e autorevolezza politica.

Erano da poco concluse le elezioni europee del 1999 e la Bonino aveva portato a casa con la sua lista l’8.45%: un risultato straordinario, se paragonato ad esempio al 17.34% dei DS.

Inebriati dall’entusiasmo, i radicali promossero da soli un referendum che avrebbe dovuto rivoluzionare il Paese in chiave liberista e vale la pena ricostruire alcuni obiettivi fissati e alcune argomentazioni presentate.

Il referendum fu fallimentare, sia perché alcuni quesiti non vennero ammessi, ma anche perché nessuno dei restanti raggiunse il quorum.

Cosa proponeva Emma Bonino (con i suoi)?

Volevano l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori considerando la reintegra in caso di licenziamento illegittimo un «vincolo disincentivante alla creazione di nuovi posti di lavoro» e si intendeva dunque «aprire uno scontro su di una norma che irrigidisce oltre ogni misura il mercato del lavoro italiano» (questo quesito non solo mancò il quorum, ma – nonostante il supporto di Forza Italia e del Partito Repubblicano Italiano – vide la vittoria del NO con oltre il 66%). Anni dopo, a seguito di numerosi fallimenti da parte di alcuni governi precedenti, Monti e la Fornero riuscirono a destrutturare l’art. 18 ricorrendo alla stessa velenosa e mendace retorica della Bonino: sappiamo bene che il mondo del lavoro ci ha soltanto rimesso.

Volevano la totale liberalizzazione del collocamento privato. Come sapete, purtroppo, nel nostro ordinamento, a seguito di una sentenza della Corte di Giustizia Europea, è venuto meno il monopolio statale in materia di collocamento e col Pacchetto Treu è stato introdotto il tristemente noto lavoro interinale che prevede l’esistenza di agenzie che affittano il lavoratore prestandolo a destra e manca. Data la delicatezza del tema, le agenzie sono sottoposte ad un regime legale di controllo (nemmeno troppo severo). Ecco, per la Bonino persino questi limiti andavano rimossi, per giungere alla «completa liberalizzazione del collocamento privato, attraverso l’abolizione degli assurdi vincoli previsti dalla legislazione vigente». A mio avviso il lavoro interinale andrebbe invece abolito.

Volevano la totale liberalizzazione dei contratti a tempo determinato concedendo «agli imprenditori e ai lavoratori la libertà di concordare la durata del contratto di lavoro a seconda delle loro necessità». Purtroppo col tempo questo desiderio boniniano è divenuto realtà e, nonostante sostenesse ossessivamente che «i contratti di lavoro a tempo determinato sono uno strumento importante di flessibilità del mercato del lavoro, che aiuta le aziende e favorisce l’occupazione», gli effetti sono stati drammatici e sotto gli occhi di tutti: l’esplosione della precarietà è l’unico traguardo davvero evidente di questa impostazione.

Volevano la totale liberalizzazione dei contratti a tempo parziale superando i «principali ostacoli alla diffusione del lavoro part time in Italia, (…) osteggiato anche e soprattutto da parte del sindacato». Il sindacato ha l’obbligo di vigilare sul ricorso a tale forma di contratto e spesso le norme prevedono dei limiti percentuali al ricorso al lavoro a tempo parziale e anche sul rispetto di esse il sindacato è chiamato a vigilare. La ragione è semplicissima e nota in letteratura e alla cronaca: spesso il part time è involontario (ovvero imposto al lavoratore, più spesso alle lavoratrici) e nasconde ore e ore di lavoro non retribuito (o pagato in nero). Viene da domandarsi se lo scopo della Bonino fosse davvero quello di aiutare i lavoratori e di creare nuova occupazione. Fate voi.

Volevano «abolire l’obbligo di stipulare l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro con l’INAIL, lasciando la possibilità di scegliere, in alternativa, un’assicurazione privata». A fronte infatti della grande rilevanza nazionale del tema degli infortuni sul lavoro, l’obiettivo del referendum era quello di indebolire l’INAIL, creando margini di profitto per le assicurazioni private anche in quest’ambito. Viene davvero difficile immaginare come una visione del genere possa essere pensata per aiutare i lavoratori e la collettività in generale, quando molto più probabile è che possa ingrossare le tasche di banche, assicurazioni e multinazionali.

Volevano di pari passo «lasciare ai cittadini la libertà di scegliere un’assicurazione privata in alternativa al Servizio Sanitario Nazionale». Nonostante l’inammissibilità del quesito, un indebolimento del SSN negli anni a seguire c’è comunque stato e gli effetti devastanti di tale deriva li abbiamo visti in questi tristi mesi di pandemia. Molti dei morti che abbiamo dovuto vedere sfilare in piena notte sono il risultato delle politiche di chi continua a credere nel ruolo del mercato e di chi continua ancora oggi ostinatamente a puntare sull’arretramento e l’indebolimento dello stato sociale.

Volevano inoltre deregolamentare completamente il lavoro a domicilio, privando il lavoratore di importanti presidi di diritto che la legge del 1973 nonostante le modifiche ancora prevedeva, abolire il finanziamento pubblico ai patronati sindacali e quello ai partiti politici (in politica avrebbero trionfato i ricchi e il principe di quegli anni si chiamava Silvio Berlusconi). Chiedevano inoltre di innalzare l’età minima e il numero minimo di anni per accedere alla pensione e di «abolire le trattenute alla fonte effettuate dall’INPS e dall’INAIL in favore delle associazioni sindacali e di categoria». Se non è estremismo liberista questo, intolleranza astiosa verso le rappresentanze dei lavoratori, allora non ci abbiamo capito proprio niente.

Ecco, questo è il sogno di Emma Bonino, un sogno parzialmente realizzatosi con la benedizione di Bruxelles e che con la nostra Costituzione non aveva, non ha e non avrà mai niente da spartire.

Appare come una persona dolce e compita l’Emma di +Europa, ma incarna la peggior rappresentazione di liberismo sfrenato che la politica italiana abbia mai visto.

Anche col senno del poi, direi +Italia e -Emma: tutta la vita.

FONTE (radicali): https://www.radicalifvg.it/referendum.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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