Harry Belafonte con Coretta Scott King, vedova di Martin Luther King, in Memphis, Tennessee on April 8, 1968.


Caraibico, Harold George Bellanfanti Jr., meglio noto come Harry Belafonte, nacque da madre giamaicana e padre della Martinica a New York il 1º marzo 1927 e morì sempre a New York il 25 aprile 2023 a 96 anni. Una lunga vita, intensa fu cantante, musicista, attore e attivista dei diriiti civili. Fu soprannominato “Re del calypso” per aver reso popolare la musica caraibica negli anni cinquanta: uno dei suoi brani più celebri è Banana Boat Song. Il suo “Calypso”, pubblicato nel 1955, divenne il primo album di un solista da un milione di vendite  e iniziò un’infatuazione internazionale per i ritmi caraibici. Belafonte fu soprannominato, con sua riluttanza, il “Re di Calypso”. Gli ammiratori di Belafonte includevano un giovane Bob Dylan, che ha debuttato nei primi anni 60 con “Midnight Special”, suonando l’armonica di Belafonte.
Banana Boat Song e un vecchio canto di schiavi neri che lavoravano di notte per caricare i battelli di banane in Giamaica. Il ritmo è quello del Calypso.
Harri Belafonte fu anche attore ha recitato in Carmen Jones di Otto Preminger (1954), Le Coup de l’escalade (Robert Wise, 1959), Kansas City di Robert Altman (1996), Buck e il suo complice di e con Sidney Poitier ( 1972) e Bobby (Emilio Estevez, 2006) sull’assassinio di Bob Kennedy. Divenne il primo attore nero a interpretare, nel 1957, una storia d’amore con un’attrice bianca in Un’isola al sole di Robert Rossen, e anche il primo afroamericano a produrre uno show televisivo e vincere un Emmy Award (1959).
Al culmine del successo Belafonte  si tuffa nell’attivismo, nelle marce contro la segregazione, andando in Alabama a chiamare «Bombingham» la cittadina di Birmingham nella quale gli attentati dinamitardi del Ku Klux Klan erano una consuetudine. Artisti e attori neri, in quegli anni Sessanta complicati, optavano per la linea tracciata da Poitier: agire dall’interno del sistema per piantare il seme del progresso. Non abbastanza per Belafonte che dopo l’assassinio del suo amico fraterno Martin Luther King voleva far seguire al funerale una marcia antirazzista, Sidney Poitier disse no per evitare disordini, i due amici non si parlarono per qualche anno. Belafonte, al contrario dei colleghi, va nei campus dove ribolle la protesta pre e post ’68, usando nei suoi discorsi metafore inusuali nella loro brutalità – «il razzismo defeca sull’umanità» – che oggi appaiono forti ma allora facevano scandalo. Lo marchiarono non come «song and dance man» ma direttamente come sovversivo: l’Fbi lo sorvegliò attentamente dal 1954 al 1981. Torna al cinema nel 1972 diretto dall’amico Poitier con il quale ha fatto pace, ma è una piccola parentesi prima delle grandi comparsate della vecchiaia, per Robert Altman (I protagonisti, 1994) e Spike Lee (BlacKkKlansman, 2018). In questo millennio attaccò con la virulenza  George W. Bush e la guerra in Iraq, sempre con il cuore a sinistra scrive libri tra i quali spicca un’autobiografia di enorme interesse (My Song). In extremis, nel 2018, anno secondo dell’era Trump, la biblioteca del Congresso lo onora includendo Calypso tra le grandi opere americane conservate nel suo archivio. E lui festeggia l’ingresso nel pantheon andando in tv a dire che «l’America è corrosa dal razzismo, ha un dna fallato. La lotta contro il razzismo sarà permanente… Ero al fianco di Martin, e di Bobby Kennedy. Faccio parte del loro lascito, finche vivrò».
Conclusione. Harry Belafonte non è morto vive nei ricordi delle sue canzoni, dei film che interpretato e della sua militanza per i diritti civili.

Harry Belafonte, cantante, attore, attivista dei diritti civili, giovane e bello

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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