L’ONU propone un meccanismo automatico di sospensione del debito per i Paesi più indebitati © suken/iStockPhoto

Le Nazioni Unite propongono un meccanismo automatico di “sospensione” del debito per affrontare crisi e povertà nei Paesi più in difficoltà

Alessandro Longo

Gli interessi sul debito rappresentano un ostacolo allo sviluppo dei Paesi più indebitati. Ma anche – e soprattutto – nel far fronte agli shock e alle crisi. Con conseguenze gravi, persino catastrofiche, sul benessere delle persone. Spesso, infatti, privano gli Stati più poveri di risorse che potrebbero essere impiegate per misure a sostegno della popolazione. È ciò che è successo nelle recenti crisi – dal Covid-19 all’aumento del costo della vita – ma anche quello che succede ogni volta che si verifica una catastrofe climatica.

Per questo motivo, le Nazioni Unite chiedono una “sospensione” del debito per i Paesi più indebitati. In modo che le risorse utilizzate per gli interessi sul debito possano essere allocate, ad esempio, a favore di progetti per combattere la crescente povertà. Che negli ultimi tre anni ha raggiunto altri 165 milioni di persone, portando al 20% la quota di popolazione globale che vive con meno di 3,65 dollari al giorno, ovvero sotto la soglia di indigenza.

Un mondo sempre più indebitato…

Nel 2022 il debito pubblico globale ha raggiunto un nuovo record: 92mila miliardi dollari. Cinque volte il valore del 2000 (in confronto, il Pil globale è aumentato solamente di tre volte). La ragione è da ricercarsi anche nella necessità di far fronte alle crisi legate alla pandemia, all’inflazione, al cambiamento climatico. Ma anche nella mancanza di fonti di finanziamento alternative. Di conseguenza, i Paesi con un elevato debito pubblico (ovvero con un rapporto debito/Pil superiore al 60%) sono passati dai 22 del 2011 ai 59 dello scorso anno.

debito pubblico globale
La crescita del debito pubblico globale tra il 2000 e il 2022 © Unctad

Del complessivo debito pubblico globale, solamente il 30% è dovuto da Paesi in via di sviluppo (di questo, il 70% è di Cina, India e Brasile). Ma in questi Paesi, nell’ultimo decennio, è cresciuto molto più velocemente (più che triplicato) che in quelli sviluppati (dove si registra un +50% circa). La conseguenza? Minor possibilità di far fronte a nuove emergenze, di affrontare i cambiamenti climatici e di investire nel futuro della propria popolazione.

…e sempre più povero

Negli ultimi tre anni, dalla pandemia in poi, la povertà nei Paesi più poveri è cresciuta in maniera significativa. Secondo il report del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) “Il costo umano del non agire: povertà, protezione sociale e servizio del debito”, gli individui che vivono con meno di 3,65 dollari al giorno sono concentrati nei Paesi a basso reddito. Basti pensare che il 20% più povero della popolazione di questi Stati vive ancora con un reddito inferiore rispetto a prima della pandemia.

Ed è proprio per questi motivi che l’Undp chiede un sistema di protezione sociale diverso, che sia in grado di rispondere ad eventi eccezionali. Anche attraverso la possibilità di “mettere in pausa” il debito. In questi anni, infatti, i Paesi che avevano ampi margini di spesa sono riusciti ad investire di più per sostenere la popolazione e limitare l’aumento della povertà. Per i più indebitati e poveri, invece, non c’è stato niente da fare. E infatti, nello stesso periodo, sono aumentati anche i default dei Paesi emergenti.

La spesa per gli interessi sul debito

Spesso, ciò che limita la capacità di spesa dei Paesi più indebitati è proprio il pagamento degli interessi sul debito. Nell’ultimo decennio, tali voci di spesa sono andate ad assorbire una quota sempre maggiore delle entrate pubbliche nelle economie in vie di sviluppo. A tassi di gran lunga superiori rispetto a quelli corrisposti dai Paesi ad alto reddito. Per esempio, gli Stati africani, in media, si indebitano a un tasso che è quattro volte quello americano. E addirittura otto volte al quale è in grado di indebitarsi la Germania.

Confronto tra tassi di interesse medi per prendere in prestito. Fonte: UNCTAD

Ad oggi ben 46 Stati pagano più del 10% delle loro entrate in interessi sul debito (nel 2010 erano 29). Con conseguente minore capacità di spesa per salute, educazione, protezione sociale. In media, i Paesi a basso reddito destinano al pagamento degli interessi sul debito il doppio di quello che dedicano all’assistenza sociale. E 1,4 volte quello che stanziano per la spesa sanitaria. O, ancora, poco più della metà di quello che spendono in istruzione.

Lo scenario che tracciano le Nazioni Unite, dunque, è quello di Stati costretti a scegliere «se onorare il proprio debito o servire i propri cittadini». E, infatti, 3,3 miliardi di persone vivono in Paesi che spendono più nel pagamento degli interessi sul debito che in salute o istruzione.

«La disuguaglianza è insita nel sistema finanziario internazionale»

Non è certo nuova la notizia che il debito pubblico abbia raggiunto livello colossali. Così come non è una novità che la ragione sia da ricercarsi nella necessità di far fronte alle crisi legate alla pandemia, all’inflazione, ai cambiamentoi climatici, ai conflitti. Ma un’altra ragione è anche l’«architettura finanziaria internazionale iniqua» che, secondo quanto si legge nel report delle Nazioni Unite “Un mondo di debito: un peso crescente per la prosperità globale”, «rende l’accesso dei Paesi in via di sviluppo ai finanziamenti inadeguato e costoso». Un sistema che ha trasformato il debito in un vero e proprio fardello, limitando l’accesso a ulteriori finanziamenti, aumentando il costo per prendere a prestito (ovvero i tassi di interesse). E che ha portato a svalutazioni monetarie e a un rallentamento della crescita.

L’idea dell’Onu è quella di cambiare l’architettura finanziaria internazionale costruendo un sistema in grado di rispondere agli shock automaticamente. In maniera efficace, e nel minor tempo e miglior modo possibili. Insomma, un approccio non più emergenziale ma sistemico. Tale da rendere l’intero sistema finanziario funzionante e funzionale anche per i Paesi (e le persone) più vulnerabili. Impedendo in altre parole che sia la popolazione più povera a pagare. E a impoverirsi ulteriormente, perché ci sono da ripagare enormi debiti pubblici.

Il costo del non agire

La ristrutturazione multilaterale del debito dei governi più indebitati – quando ha funzionato – è stata d’altra parte lenta e con scarsi risultati. Ne sono dimostrazione gli scarsi risultati del G20 Common framework. Progetto nato sulla spinta delle venti maggiore economie globali per ristrutturare i debiti dei Paesi emergenti, è stato utilizzato solamente da quattro economie. Nessuna delle quali ha ottenuto un vero e proprio taglio del debito. La mancata ristrutturazione dei debiti ha come conseguenza quello che l’Onu stessa definisce un “costo umano“.

Ma come si fa a pretendere che i Paesi più indebitati e con una spesa pubblica assorbita dagli interessi sul debito riescano contemporaneamente a ripagare il debito e a sostenere le fasce più povere della loro popolazione?

Cosa propone l’Onu: un meccanismo automatico di sospensione del debito per affrontare crisi e povertà

Da qui la proposta delle Nazioni Unite di un meccanismo automatico che, in caso di necessità, consenta di utilizzare temporaneamente le risorse che dovrebbero essere impiegate per il rimborso del debito per finanziare la spesa sociale. E contrastare così gli effetti degli shock macroeconomici.

Nella roadmap delle Nazioni Unite, il primo step è quello di «migliorare la partecipazione dei Paesi in via di sviluppo alla governance del sistema finanziario internazionale». Poi occorre «affrontare l’elevato costo del debito e il crescente rischio di stress da debito e creare un meccanismo di ristrutturazione del debito». Quindi «fornire una maggiore liquidità in tempi di crisi espandendo i finanziamenti di emergenza». E anche aumentando l’accesso a quelli di emergenza del Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Infine, l’Onu propone di aumentare «in modo massiccio i finanziamenti a lungo termine a prezzi accessibili».

Il meccanismo pensato dall’Onu dovrebbe innescare un automatico “stop” al debito ogni qualvolta un qualsiasi shock riduca lo spazio di spesa degli Stati più indebitati. In modo tale che questi possano adottare le misure necessarie ad evitare un ulteriore impoverimento della popolazione e a far fronte alle situazioni di emergenza. Qualcosa di simile a quello che ha fatto la Banca Mondiale. Che ha previsto la sospensione del debito in caso di catastrofi naturali.

Stando ai conti delle Nazioni Unite, la soluzione sarebbe anche poco costosa. Per esempio, tirar fuori dalla povertà quei 165 milioni di nuovi poveri costerebbe poco più di 14 miliardi di dollari. L’equivalente dello 0,009% del Pil globale del 2022. Ma soprattutto neanche il 4% di ciò che i Paesi a basso reddito hanno impiegato in termini di interessi sul debito nel 2022 (ben 370 miliardi di dollari

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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