L’ex raffineria Tamoil di Cremona, situata lungo l’argine del Po, sta continuando ad inquinare. A denunciarlo i dati presentati dalla Canottieri Leonida Bissolati, società sportiva la cui sede è ubicata proprio a fianco dell’insediamento industriale. Quest’ultimo, fino a circa dieci anni fa, raffinava il petrolio greggio, ma ora è stato convertito a deposito.  Eppure, nonostante la conversione, è stato dimostrato che l’impianto sta ancora inquinando il terreno circostante e, di conseguenza, la falda idrica sottostante. Delle analisi condotte su campioni di suolo prelevati negli ultimi due mesi hanno infatti evidenziato che vi è ancora presenza di surnatante, ovvero, la componente dell’idrocarburo fossile che non si mescola con l’acqua. «Questo è grave – ha sottolineato Maurizio Segalini, presidente del club sportivo – perché va contro tutte le teorie di Tamoil e delle istituzioni cittadine che affermano che stanno rimuovendo l’inquinamento provocato dal 2007 al 2011». In particolare – ha spiegato Gianni Porto, geologo che ha condotto le analisi – è stata rilevata «abbondante presenza di surnatante in galleggiamento sopra la falda”. Le acque sotterranee sono quindi diffusamente inquinate «con livelli ben superiori ai limiti di legge».

In altre parole, quello in atto è un vero e proprio disastro ambientale, tuttavia, non adeguatamente attenzionato né a livello mediatico né politico. Basti pensare che, rispetto alla soglia di legge di idrocarburi totali di 350 microgrammi al litro, nel primo punto di campionamento è stato raggiunto il valore di 16.650, nel secondo di 6.000.000, nel terzo di 295.000. Questo può significare solo una cosa: la barriera idraulica installata appositamente per arginare il fenomeno di contaminazione non funziona e che quindi l’inquinamento non si è mai fermato. La vicenda ha infatti radice lontane. Nel 2018, dopo estenuanti battaglie della cittadinanza, la Cassazione aveva confermato la sentenza della Corte d’appello che aveva riconosciuto la responsabilità al solo amministratore delegato della Tamoil, Enrico Gilberti, condannato a 3 anni per disastro ambientale colposo aggravato. Gli ultimi fatti giudiziari risalgono invece allo scorso giugno, quando la procura di Cremona ha chiesto l’archiviazione di due esposti che sostenevano come Tamoil continuasse a inquinare le aree esterne alla ex raffineria. Uno l’aveva avanzato Legambiente, l’altro Gino Ruggeri, esponente del partito radicale che nel processo di primo grado si era costituito parte civile.

Non ultima, vi è poi la causa civile intentata dal Comune di Cremona contro Tamoil affinché venisse riconosciuto il risarcimento per disastro ambientale. Causa che si è conclusa qualche giorno fa con un accordo tra le parti: un risarcimento complessivo inferiore ai 2,5 milioni, quando il Comune ne aveva chiesti ben 40 di milioni. Un accordo sbandierato dall’amministrazione come una vittoria, ma che non convince le associazioni e gli altri interessati. «Quando si è di fronte ad un risarcimento che è inferiore al 10% della somma richiesta originariamente, i casi sono due – ha dichiarato un esponente politico all’opposizione – o la stima dei danni richiesti è frutto di una valutazione superficiale e slegata ad elementi effettivi, oppure si è di fronte ad un clamoroso flop che l’amministrazione vuole coprire con la sua propaganda». Dal canto suo, Tamoil si era costituita in giudizio definendo il disastro ambientale “contenuto” e negando che ci fosse stato un danno di immagine per la città. Mentre, in relazione ai nuovi dati presentati dalla Bissolati, l’azienda ha scelto di non rilasciare dichiarazioni.

[di Simone Valeri]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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