Alessandro Somma 

La morte di Wolfgang Schäuble, il fautore più ottuso dell’estremismo austeritario tedesco, ci consente di mettere in luce le ragioni intime di questo approccio alla costruzione europea: asservire l’Unione alla Germania. Tra i molti riscontri di questa strategia scegliamo di ricordarne uno forse meno analizzato, ma non per questo meno inquietante: le riflessioni dedicate all’Europa a più velocità di cui proprio Schäuble fu un tifoso particolarmente infervorato. Non tuttavia per assecondare i bisogni dei Paesi più deboli del punto di vista dei parametri di Maastricht, ma al contrario per costringerli alla disciplina di bilancio imposta da quei parametri e soddisfare così gli interessi tedeschi. È quanto si ricava da un documento predisposto assieme a Karl Lamers nel 1994, a tre anni dal Trattato di Amsterdam e durante il semestre di Presidenza europea della Germania, quando Schäuble era Presidente del Gruppo cristianodemocratico presso il Parlamento di Berlino[1].

Proprio l’identificazione degli interessi tedeschi occupa l’apertura del documento, che si sofferma sulla collocazione geopolitica particolarmente delicata della Germania: nel punto in cui si incontrano, e sovente si scontrano, la parte occidentale e la parte orientale del continente. Per molto tempo, ricordano Schäuble e Lamers, si sono voluti affrontare i problemi legati a questa collocazione rivendicando un’egemonia sull’area europea, ma tutti i tentativi in questo senso sono miseramente falliti: da ultimo quello che ebbe «come conseguenza la catastrofe militare e politica del 1945». Da ciò una convinzione divenuta «un vero e proprio principio della politica europea» condotta dalla Germania: che le sue forze non siano sufficienti ad accreditarsi come potenza egemonica, e che pertanto «la sicurezza possa essere conquistata solo attraverso una modifica sostanziale del sistema degli Stati europei»[2].

Questo schema potrebbe però entrare in crisi, aggiungono Lamers e Schäuble, per effetto della dissoluzione del blocco sovietico, ovvero dell’evento che ha paradossalmente consentito la Riunificazione tedesca. Dal punto di vista degli altri Paesi europei, questo evento ha fatto sorgere il timore che la Germania coltivasse nuove mire egemoniche, e che pertanto l’Europa fosse esposta al rischio di conflitti simili a quelli vissuti nel Secolo breve. Proprio per questo, come si sa, i tedeschi furono indotti ad accettare la moneta unica, considerata un espediente necessario e sufficiente a prevenire il ripetersi dei momenti più bui della storia del Novecento[3]. Diverse evidentemente le preoccupazioni della Germania, legate al rischio di una nuova instabilità dell’area in cui si incontrano l’Europa dell’ovest e dell’est, per prevenire la quale Schäuble e Lamers indicano un percorso ben definito: occorre giungere alla «inclusione dei vicini mitteleuropei nel sistema occidentale del dopoguerra»[4].

L’alternativa, sembra di capire, è una situazione non troppo diversa da quella prefigurata da chi teme il ritorno di una Germania animata da mire egemoniche. I tedeschi potrebbero infatti essere tentati di provvedere autonomamente alla loro sicurezza, con ciò producendo scenari che si intuisce essere particolarmente minacciosi, o peggio evocativi della parte più buia della storia del Novecento. Con le parole di Schäuble e Lamers:

«Senza un simile sviluppo dell’integrazione europea occidentale la Germania potrebbe essere indotta a realizzare la stabilizzazione dell’Europa dell’est da sola e nel modo tradizionale, o comunque potrebbe essere tentata di farlo per soddisfare necessità legate alla sua sicurezza. Questo però richiederebbe forze esorbitanti rispetto a quelle che possiede, e nello stesso tempo condurrebbe a erodere la tenuta dell’Unione europea. Tanto più che ovunque è ancora viva la memoria del fatto che, storicamente, la politica tedesca sull’est è stata fondamentalmente concordata con la Russia, a spese dei Paesi che si trovavano in mezzo»[5].

Se peraltro l’allargamento a est della costruzione europea era vista con favore, era perché si sarebbe accompagnata a riforme volte a rafforzare quella costruzione. Questa doveva cioè attrezzarsi a divenire la casa comune dei molti Paesi che avrebbero di lì a poco acquisito lo status di membri, non tutti collocati a est: oltre ad Austria, Finlandia e Svezia, che aderiranno nel 1995, anche Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria, che giunsero nel 2004 (Bulgaria e Romania arriveranno nel 2007, mentre la Croazia si è aggiunta nel 2013).

Occorreva insomma rendere la casa comune una struttura solida innanzi tutto dal punto di vista istituzionale, capace di tendere verso una maggiore integrazione, e soprattutto di realizzarla in modo differenziato. Non si voleva però alimentare la pluralità dei punti di vista sulla costruzione europea. Se si invocavano «geometrie variabili», era per evitare che, se si ammetteva un certo grado di «elasticità e flessibilità», questa fosse poi utilizzata per rallentare o peggio impedire l’opera di riforma in senso neoliberale dei Paesi dell’est. Allo stesso tempo si voleva impedire che l’elasticità finisse per assecondare le tensioni protezionistiche dei Paesi meridionali[6].

Più precisamente occorreva formalizzare l’esistenza di «un solido centro di Paesi orientati all’integrazione e disposti a cooperare». Un centro già esistente, che chiedeva solo di essere «rafforzato», composto dai Paesi settentrionali: Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi, chiamati a una collaborazione sempre più stretta con l’asse franco-tedesco. Erano questi i Paesi più rispettosi dei parametri di Maastricht, che pertanto potevano anticipare l’avvio dell’Unione economica e monetaria e combattere così al meglio le forze centrifughe esercitate dalle periferie meridionali e orientali. Il tutto contrastando a monte una certa tendenza francese ad assecondare le tendenze prevalenti presso gli altri Paesi meridionali, che occorreva invece piegare alle finalità dell’Unione economica e monetaria: concedendo loro tempo per adeguarsi, ma in nessun caso accordando la possibilità di deviare rispetto all’obiettivo, dal momento che in particolare «l’unione monetaria costituisce il nucleo solido dell’unione politica». Precisamente:

«Il nucleo solido ha il compito di opporre alle forze centrifughe, operanti in un’Unione sempre più grande, un centro forte, e con ciò di impedire la divaricazione tra un gruppo sud-orientale piuttosto sensibile al protezionismo, in un certo senso capitanato dalla Francia, e un gruppo nord-occidentale vincolato al libero commercio mondiale, in qualche modo diretto dalla Germania. A tal fine i Paesi del nucleo solido non devono solo prendere parte a tutti gli ambiti di intervento politico europeo, il che è ovvio. Devono anche sviluppare azioni comuni ulteriori in ambito comunitario per far avanzare l’Unione. Belgio, Lussemburgo e i Paesi Bassi dovrebbero pertanto essere inclusi nella cooperazione franco-tedesca, tanto più che i Paesi Bassi hanno rivisto il loro scetticismo nei confronti dell’indispensabile funzione propulsiva di questi due Paesi. La collaborazione tra i Paesi del centro dovrebbe estendersi soprattutto ai nuovi ambiti politici che sono stati aggiunti al Trattato di Roma dal Trattato di Maastricht»[7].

Da notare la centralità che il riferimento ai parametri di Maastricht assume nelle valutazioni di Lamers e Schäuble, e dunque nell’individuazione degli obbiettivi per l’azione del centro europeo, che la periferia meridionale e orientale era chiamata a perseguire sebbene con tempi più dilatati. A partire dal rispetto di quei parametri il centro europeo avrebbe dovuto «concordare in modo più vincolante di prima una politica monetaria, fiscale, di bilancio, economica e sociale», per poi presentarla alla periferia europea come obiettivo indiscutibile. Altrimenti detto «la costituzione del gruppo centrale non è un obiettivo di per sé», bensì uno strumento attraverso il quale indurre i Paesi ostili alle politiche neoliberali ad adottarle non appena vi fosse stata la loro «disponibilità a impegnarsi nel senso descritto»[8].

Se così stanno le cose, difficilmente si poteva legittimamente osservare, come hanno invece fatto i due politici tedeschi, che il percorso delineato non rispecchiava l’intento di soggiogare la costruzione europea alle mire egemoniche della Germania. Certo, Berlino non aveva intenzione di ricorrere agli eserciti, come aveva fatto nel passato evocato da Lamers e Schäuble. E tuttavia le geometrie variabili evocate da questi ultimi rispecchiavano una precisa gerarchia: quella che vedeva al vertice la Germania, motore dell’asse franco tedesco, fulcro attorno a cui mobilitare i Paesi più rispettosi dei parametri di Maastricht, a loro volta punto di riferimento per i Paesi delle periferie meridionale e orientale.

Che la Germania sia il motore dell’asse franco tedesco lo si è visto al più tardi nella vicenda relativa al riallineamento della politica economica francese realizzato da Delors al principio degli anni Ottanta[9]. La vicenda chiuse un conflitto del quale il documento di Lamers e Schäuble reca ancora tracce particolarmente evidenti: quello che opponeva la Germania di Helmut Kohl, fautrice delle politiche poi fatte proprie dalla Commissione europea, alla Francia di François Mitterand, almeno inizialmente interessata a mantenere il controllo sulle prerogative indispensabili a sostenere il compromesso keynesiano. L’esito di questo conflitto ha consentito di ridefinire l’asse franco tedesco come alleanza fautrice di una decisa avanzata del modo neoliberale di concepire l’ordine economico, che tuttavia la Germania chiedeva fosse confermata dalla Francia: Parigi doveva cioè ribadire il suo intento di tenere a bada le tensioni sprigionate dalla «sovranità dello Stato nazione», e in tal senso confermare la sua «fondamentale volontà di alimentare l’unità europea»[10].

A queste condizioni l’asse franco tedesco avrebbe rappresentato il motore delle politiche che le geometrie variabili di Lamers e Schäuble erano chiamate a presidiare, accordando tempi dilatati ma nel contempo impedendo una deviazione rispetto all’obiettivo finale. Del resto il concetto di geometria variabile, riferito al tema dell’integrazione europea, è stato coniato proprio per indicare una situazione transitoria, che dunque contempla solo differenziazioni momentanee, destinate a cedere il passo a schemi in cui prevale il tema dell’unificazione[11]. Con ciò confermando l’indicazione per cui l’integrazione differenziata, lungi dal rappresentare un modo per rendere storicamente possibile la sopravvivenza di alternative al neoliberalismo, finiva per divenirne il principale presidio.

A trent’anni dalla pubblicazione del documento di Schäuble e Lammers le cose sono solo in parte cambiate, e in peggio. Il nucleo europeo resta l’asse franco tedesco, da ultimo responsabile della riforma del Patto si stabilità e crescita in senso se possibile peggiorativo rispetto a quello sospeso all’indomani dello scoppio della Pandemia[12]. A ciò si aggiunge la volontà di ridurre ulteriormente gli spazi di manovra lasciati agli Stati membri, le cui politiche fiscali e di bilancio sono oramai definitivamente e inesorabilmente ingabbiate entro logiche tecnocratiche di matrice neoliberale.

In tutto questo l’Europa appare sempre più come un progetto atlantista[13], in quanto tale in rotta di collisione con gli interessi della Germania, il cui equilibrio economico si è nel corso degli anni edificato a partire dalla disponibilità di gas russo a buon mercato. Ma l’estremismo austeriario resta ottuso, e cieco nel portare a sbattere la Germania e con essa l’Europa unita.


[1] Überlegungen zur europäischen Politik. Vorschläge für eine Reform der Europäischen Union (1. settembre 1994), www.kas.de/c/document_library/get_file?uuid=5a11d9f3-da65-432c-72e7-b321ed3a4bb7&groupId=252038.

[2] Ibidem.

[3] Ad es. A. Somma, La dittatura dello spread. Germania Europa e crisi del debito, Roma 2014, p. 217 ss.

[4] Überlegungen zur europäischen Politik. Vorschläge für eine Reform der Europäischen Union, cit.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] A. Barba e M. Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Reggio Emilia 2016, p. 94 ss.

[10] Überlegungen zur europäischen Politik. Vorschläge für eine Reform der Europäischen Union, cit.

[11] Cfr. P. Maillet e D. Vélo (a cura di), L’Europe à géométrie variable, Paris 1994.

[12] Per tutti A. Guazzarotti, La riforma del Patto di stabilità e il sadomasochismo del nuovo Mes (26 dicembre 2023), https://www.lacostituzione.info/index.php/2023/12/26/la-riforma-del-patto-di-stabilita-e-i-sadomasochismo-del-nuovo-mes/#more-8956.

[13] A. Somma, Si scrive europeismo ma si legge atlantismo. L’unione europea nel conflitto tra Nato e Russia, in La fionda, 2022, 2, p. 57 ss

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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