L’Ecuador è nel caos. Le bande armate di narcotrafficanti, come ha denunciato pubblicamente l’ex presidente Rafael Correa, che si sono infiltrate fin nei gangli dello Stato, stanno mettendo a ferro e fuoco il paese in risposta alle misure repressive decretate dal presidente Noboa. 

I cartelli che stanno dando vita alle rivolte in Ecuador cercano di dimostrare che sono loro, e non il presidente Daniel Noboa, a detenere il potere. Questo è quanto ha spiegato all’agenzia Sputnik il professore dell’Università di San Pietroburgo Victor Jeifets, per poi aggiungere che Noboa “ha puntato quasi tutto” sulla lotta e che, se non dovesse avere successo, potrebbe perdere la carica.

“Non è un caso che i cartelli della droga scatenino una tale ondata di violenza: hanno bisogno di dimostrare che oggi sono i padroni delle strade. Per questo agiscono in modo piuttosto duro, vogliono dimostrare che il governo non controlla nulla e che è con loro che bisogna negoziare”, ha spiegato il professore della Facoltà di Relazioni Internazionali dell’Università di San Pietroburgo e caporedattore della rivista América Latina.

Secondo Jeifets, un fallimento nella lotta contro le bande criminali potrebbe portare il capo di Stato eletto a perdere la sua carica, motivo per cui “ha puntato quasi tutto” su questa lotta. Allo stesso modo, ha proseguito, anche i cartelli della droga “hanno scommesso molto, se non tutto”.

Daniel Noboa ha trionfato alle elezioni presidenziali ecuadoriane del 15 ottobre 2023, dopo che l’ex capo di Stato, Guillermo Lasso, ha firmato il decreto esecutivo 741. Ha così attivato lo strumento della morte incrociata, con cui è stato sciolto il Parlamento unicamerale e sono state indette elezioni straordinarie per il resto dei periodi costituzionali che terminano nel 2025.

“Il Presidente non ha scelta. O riesce a fare qualcosa di drastico, o non arriverà nemmeno alla fine del suo già breve mandato. Se vincerà questa battaglia, è sicuro che sarà rieletto”, sostiene l’esperto.

Jeifets ha sottolineato che per il momento Noboa sta agendo nel rispetto della legge. Tuttavia, ha espresso preoccupazione per le possibili pressioni sulle organizzazioni socio-politiche, “che potrebbero portare il Paese a diventare uno Stato di polizia”.

Il presidente dell’Ecuador, in seguito a una serie di rivolte nelle carceri del Paese e all’evasione di importanti leader di bande criminali operanti in Ecuador, ha decretato l’8 gennaio scorso uno stato di emergenza di 60 giorni per “riprendere il controllo” delle carceri, perso negli ultimi anni.

Il provvedimento ha scatenato un’ondata di violenza con gruppi criminali che hanno bruciato auto e fatto esplodere esplosivi nelle strade di diverse province, tra cui la capitale Quito. Il 9 gennaio, Noboa ha emesso un altro decreto che dichiara un “conflitto armato interno” derivante dalla crisi della sicurezza pubblica che sta attraversando il Paese e designa circa 20 gruppi di criminalità organizzata come “organizzazioni terroristiche”.

L’esplosione di violenza che scuote l’Ecuador all’inizio di questo nuovo anno non costituisce un episodio isolato. Lo scorso agosto, un candidato alla presidenza ha perso la vita. Fernando Villavicencio è stato ucciso a colpi di pistola dopo uno dei suoi comizi elettorali. Aveva parlato contro la corruzione, le miniere illegali e il traffico di droga e aveva chiesto una dura lotta contro le bande. Un altro politico, il sindaco della città portuale di Manta, fu ucciso un mese prima. 

Negli ultimi anni l’Ecuador ha avuto un grosso problema con la criminalità. Nel paese andino si intersecano le rotte del traffico di cocaina provenienti dalla Colombia e dal Perù, due dei maggiori produttori di droga dell’America Latina. Da lì, la droga viene trasportata via mare verso gli Stati Uniti e via terra verso il Brasile, il secondo consumatore di droga dell’emisfero occidentale.

I cartelli della droga locali sono sostenuti da quelli colombiani, peruviani e messicani. Parallelamente alla guerra con lo Stato, c’è una brutale guerra all’interno del mondo criminale per la ridistribuzione delle rotte tra i gruppi e le reti internazionali della droga.
La gestione dell’ex presidente Lenin Moreno (2017-2021), è stata segnata dall’abbandono delle precedenti politiche sociali implementate da Rafael Correa. L’attuazione delle prescrizioni economiche degli Stati Uniti e del FMI ha portato a un forte deterioramento degli standard di vita e alla destabilizzazione della situazione politica. La pandemia Covid ha infine fatto crollare l’economia. Molti giovani provenienti da ambienti svantaggiati sono stati spinti verso la criminalità.

Inoltre, come ha denunciato lo stesso Correa, l’attuale crisi non è responsabilità di Noboa, “che è in carica da sei settimane”, ma dei suoi predecessori Lenín Moreno e Guillermo Lasso. Accusati di aver consentito l’infiltrazione delle mafie del crimine organizzato all’interno dello Stato.

“Non è un caso, lo hanno permesso per tanti anni, perché il loro obiettivo era cercare di distruggerci come alternativa politica e hanno permesso tutto”. 

Il politico, che è stato due volte presidente dell’Ecuador, ha riconosciuto che la criminalità organizzata è sempre esistita nel Paese, ma che la “differenza cruciale” è che ora c’è “l’infiltrazione delle forze armate e della polizia”.

E ha aggiunto: “Non solo si sono infiltrati, ma dominano il sistema carcerario e da lì dirigono il crimine organizzato, ed è per questo che, quando il Presidente Noboa ha voluto riportare l’ordine, ha avuto questa risposta”.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-cosa_c_dietro_londata_di_violenza_in_ecuador/82_52243/

Di Red

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