Eric Gobetti

Si dice che la storia la scrivono i vincitori, ce lo ripetono spesso i nostri avversari. Ci dicono che è necessaria una pacificazione delle memorie del passato. Ma la pacificazione si raggiunge facendo ognuno un passo indietro, ammettendo ognuno le proprie colpe, trovando un terreno comune di dialogo. Qui abbiamo una richiesta di resa, più che di pace.

Ci viene chiesto di ammettere i crimini partigiani, di arrenderci all’evidenza che la Costituzione non è antifascista, di riconoscere che la Resistenza non voleva la democrazia. Intanto chi ce lo chiede arriva al potere vantandosi dei busti del duce sulla scrivania, portando avanti un’agenda politica nazionalista e razzista, minacciando o licenziando i dissidenti, rifiutando il dialogo e imponendo la propria visione della storia.

Ci dicono che la storia l’hanno scritta i vincitori. Non è vero. La storia la scrivono i vincitori quando vincono loro, i fascisti. Siccome la Seconda guerra mondiale l’abbiamo vinta noi, la storia l’hanno scritta tutti. O meglio, la storia l’hanno scritta gli storici, mentre ognuno ha coltivato la propria memoria. Persino i fascisti, che hanno scritto libri, hanno pubblicato giornali, hanno realizzato film con il loro punto di vista, falsificando la storia per poter nascondere il proprio passato criminale. Ora che hanno raggiunto il potere stanno cercando di imporre quella narrazione falsata come storia di tutti, come storia ufficiale del Paese. È una storia che fa leva sul vittimismo, come tutte le narrazioni nazionaliste. Gli italiani sarebbero un popolo buono e innocente per definizione, e il fascismo sarebbe solo una pagina fra le tante di quella fulgida storia.

Chi sono invece i veri criminali dell’epoca fascista? Ce lo dovrebbero insegnare le giornate memoriali istituite per commemorare la Seconda guerra mondiale. Da una parte il Giorno della Memoria, in cui ricordiamo le vittime dei crimini nazisti, cioè la volontà genocidiaria di cancellare dalla faccia della terra interi popoli (rom, ebrei…) e intere categorie umane (disabili, omosessuali…). Dall’altra il Giorno del Ricordo, che ha lo stesso peso istituzionale, ma subisce un uso politico ben maggiore. Quella giornata dovrebbe ricordare i crimini commessi dai partigiani jugoslavi a fine guerra, una reazione eccessiva alle violenze subite nei vent’anni precedenti, tra cui gli stessi crimini nazisti, contro cui i partigiani combattevano. Qual è invece il messaggio che veicola nell’opinione pubblica? Che le foibe sono la “nostra Shoah”, l’esodo è una pulizia etnica e chi sostiene il contrario è un “negazionista”. In pratica i partigiani avrebbero commesso crimini analoghi ai nazisti, anzi forse peggiori, visto che se ne parla di più e più spesso. Non a caso il comune di Lucca poche settimane fa ha rifiutato di intitolare una via a Sandro Pertini con la motivazione che “è stato un partigiano”! Non c’è da stupirsene, purtroppo. E l’Anpi non a caso è costantemente attaccata da chi diffonde questa visione distorta della storia. Cosa manca nelle politiche della memoria su quell’epoca storica? Abbiamo il Giorno della Memoria per condannare i crimini nazisti, quello del Ricordo sui crimini partigiani… E i crimini fascisti? I fascisti evidentemente sono innocenti, anzi vengono addirittura rappresentati come vittime innocenti delle foibe. Se i fascisti non hanno commesso crimini, evidentemente il fascismo “ha fatto solo cose buone”, perché quelle cattive non ce le raccontano mai. Questo è lo scenario sul nostro passato creato da chi ci governa. La storia, oggi, non la stanno scrivendo i vincitori: la stanno scrivendo i vinti della Seconda guerra mondiale, distorcendola a proprio vantaggio.

“Chi controlla il passato, controlla il futuro”, diceva uno slogan del Partito Unico in 1984 di George Orwell. Io credo sia vero. Attraverso il controllo di quel passato, di quella storia, gli eredi del modello politico fascista hanno imposto il proprio dominio sul presente, e un’ipoteca sul futuro. Hanno raggiunto l’egemonia politica dopo aver ottenuto quella culturale. E l’hanno fatto attraverso inganni retorici in cui sono caduti molti sinceri democratici (le foibe come pulizia etnica, lo stereotipo degli italiani brava gente per negare i crimini fascisti…) e vere e proprie bugie (sulle cifre delle vittime delle foibe, sui “poveri nazisti” definiti “musicisti in pensione”… e tante altre).

Voi dell’Anpi avete scelto di impegnarvi in una battaglia culturale che ha un valore immenso. Certo fate anche altro, magari fate anche politica, ma come dirigenti Anpi avete il compito di difendere la storia della Resistenza e i valori che incarna. Dunque è necessario innanzitutto capire come contrastare l’uso capovolto che la politica fa di quella storia negli ultimi decenni. Sono stato invitato, in quanto storico, per offrirvi degli strumenti di autodifesa. Purtroppo non ho molto da dirvi. Studiate, imparate, non smettete di documentarvi, non arrendetevi all’ignoranza: una battaglia culturale si combatte con gli strumenti della cultura. E come ci insegna Orwell, non è una battaglia inutile o irrilevante: è la principale battaglia da combattere, oggi, per riportare al centro della nostra vita civile i valori della democrazia e della libertà.

Oggi mi sono vestito con i colori dell’Italia. Non ho paura di mostrarmi patriottico. Io mi identifico nei valori della nostra Costituzione antifascista, della nostra Italia libera e democratica, non di una nazione eterna fuori dal tempo, un popolo immutato da Cesare a oggi, che è una visione irrealistica e antistorica, che in questo modo includerebbe anche il contrario della nostra patria, cioè l’Italia fascista. Voi vi siete assunti il compito di difendere questo Stato democratico e la storia da cui è nato. Non è un compito facile, ma è un compito realmente patriottico.

Essere patriottici è il contrario di essere nazionalisti. Non significa giustificare gli italiani in quanto tali, metterli tutti sullo stesso piano, fascisti e antifascisti, vittime e carnefici, colpevoli e innocenti. Significa invece distinguere, identificare nella storia chi ha tradito i valori della democrazia, chi ha mandato i nostri nonni a uccidere e morire in nome della patria. Significa anche operare, lottare se è necessario, per una patria giusta, solidale, realmente democratica. Quindi anche lottare contro un governo nazionalista, contro le sue logiche razziste, contro gli egoismi dei più ricchi, contro le bugie storiche di chi si identifica con la dittatura fascista. Non abbiate paura di scegliere e di schierarvi, anche contro le istituzioni, se tradiscono gli ideali da cui è nata la nostra patria.

Ma essere patriottici significa anche non dimenticare di essere parte dell’umanità. Agite sempre in un’ottica internazionale, perché i diritti degli italiani devono essere i diritti di tutti, se no si chiamano privilegi. Difendere la nostra storia, quella storia, significa anche identificare ogni oppressione nel mondo, schierarci sempre dalla parte degli ultimi, dei deboli, degli oppressi, e di chi si ribella all’oppressione. Significa lottare per chi subisce un’invasione e una occupazione, ma anche per chi è oppresso da un governo nazionalista e antidemocratico, come o peggiore del nostro. Difendere la storia della Resistenza significa lottare per la pace e per la giustizia per tutti i popoli del mondo, in ogni parte del mondo.

È la lectio tenuta dall’autore nella Assemblea nazionale dei giovani dirigenti Anpi (Riccione, 2-3 dicembre 2023)

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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