Pietro Salemi

Dal Manzanarre al Reno, dal Danubio al Po, monta la protesta degli agricoltori che con i loro mezzi bloccano strade e autostrade di mezza Europa. L’Internazionale del Trattore, che si snoda a passo di semina per Polonia, Ungheria, Slovenia, Germania, Olanda, Belgio, Francia, Italia e Spagna, sembra trovare ora la sua punta più avanzata (come spesso accade) in Francia, dove una nuova Jacquerie meccanizzata minaccia, nelle ultime ore, di bloccare la stessa Parigi.

Le radici della protesta affondano nella disperazione in cui versa ormai da qualche anno la categoria, con redditi in continua contrazione, schiacciati tra disastri climatici e politici.

Innanzitutto, gli operatori della produzione primaria si trovano a subire il succedersi di eventi meteorologici e calamitosi sempre più estremi che pregiudicano la stabilità e la resa dei raccolti, senza che lo Stato (o alcun altro ente pubblico) si dimostri poi in grado di far fronte alle necessità del caso, quanto a messa in sicurezza del territorio e a ristori economici.

Dall’altro, le politiche UE, da sempre restie a proteggere le produzioni locali dalla concorrenza estera, volgono negli ultimi anni verso una “svolta green” a tappe forzate e a totale carico degli agricoltori. Tra queste, ad esempio, spiccano la paventata ipotesi di rimozione delle agevolazioni sul carburante agricolo e l’introduzione sul mercato alimentare dei cibi sintetici e della farina di insetti.

Ancora, nella nuova PAC varata nel 2023 aumentano e si fanno più stringenti le condizionalità rafforzate che si devono ottemperare per ottenere il pagamento dei premi base agli agricoltori. Tra queste condizionalità, una delle più criticate è quella che obbliga i produttori a lasciare almeno un 4% di terreni a seminativo incolti.

Enorme rilievo per gli agricoltori in rivolta assume anche la questione della concorrenza sleale estera, con particolare riferimento all’immissionesenza dazi sul mercato comunitario di centinaia di migliaia di quintali di cereali, mangimi e ortive dall’Ucraina con prezzi predatori rispetto ai mercati nazionali UE e con standard qualitativi non comparabili a quelli cui sottostanno gli agricoltori europei. Come ricorderanno gli osservatori più attenti, già nell’aprile 2023[1], Polonia e Ungheria ponevano divieto all’importazione di grano ucraino, a seguito delle proteste dei rispettivi agricoltori. Così, nelle campagne di Varsavia fecero in tempo a cogliere la differenza tra un “corridoio di solidarietà” e una “concorrenza sleale” che avrebbe finito per strozzare i prezzi nonostante i forti rincari subiti sul fronte dei costi di produzione, lievitati proprio in seguito alle sanzioni varate dall’UE nei confronti della Russia.

Tale dinamica, sul mercato del grano, si è poi puntualmente verificata anche qui in Italia, ma senza analoga perspicacia né conseguente protesta. Infatti, l’Italia è stata terra di approdo non solo delle triangolazioni per l’immissione sul mercato nostrano del grano ucraino (e anche Russo, attraverso la Turchia[2]), ma anche di un netto incremento delle importazioni di grano canadese, che si configura come un altro caso di concorrenza sleale per dumping normativo per il noto caso del glisolfato. Tale pressione al ribasso, destinata a schiacciare i margini già esigui degli agricoltori, sembra, peraltro, destinata ad aumentare in Italia dove appare ormai imminente la ratifica del CETA, il trattato di libero scambio con il Canada che, per usare le efficaci parole di Coldiretti: “spalanca le porte all’invasione di grano duro trattato in pre-raccolta con il glifosato vietato in Italia perché sospettato di essere cancerogeno e favorisce l’arrivo di ingenti quantitativi di carne a dazio zero da un Paese dove è possibile utilizzare ormoni negli allevamenti, a differenza di quanto avviene in Italia”[3].

L’Internazionale del Trattore, o come già battezzato da la Repubblica, movimento dei “Gillet Verdi”, pur nell’eterogeneità delle sue rivendicazioni, mette così in dubbio alcuni dei paradigmi fondamentali del modello economico neoliberista insito nelle politiche agricole UE e nella loro attuazione da parte degli Stati membri.

Più in generale, però, il lamento degli agricoltori europei deve fare riflettere su alcune questione più ampie.

Le tradizioni culinarie e le produzioni agricole locali e/o tipiche sono un valore che merita di essere protetto ed economicamente sostenuto?

Come garantire il ricambio generazionale in un settore come quello agrario che può apparire in via di inesorabile estinzione e impoverimento?

Chi paga il conto della transizione imposta dall’UE?

Quale valore diamo alla qualità e alla salute in ciò che mangiamo?

Riteniamo auspicabile che la produzione di alimenti in vitro o industriali sostituisca gradualmente la produzione tradizionale e di prossimità?

Infine, ‘Farm to Fork’ o ‘Fork to Farmer’?


[1] https://www.open.online/2023/04/17/ue-grano-ucraina-polonia-slovacchia-ungheria/

[2] Ex multis, a fine agosto, 8 navi estere in fila al porto di Bari per scaricare grano: https://www.immediato.net/2023/09/10/guerra-in-ucraina-mette-a-rischio-il-grano-pugliese-8-navi-estere-al-porto-di-bari/

[3] Lettera ai Parlamentari di Coldiretti: https://www.coldiretti.it/Documents/StopCETA.pdf

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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