Livio Pepino

Ricordate Toni Servillo, il presidente stravagante, libero e con qualche nota di follia, protagonista indiscusso del film del 2013 Viva la libertà? A volte mi vien da pensare che di un presidente così avremmo, oggi, bisogno. Per sparigliare le carte, per rompere la cappa opprimente sotto cui viviamo. Ma è meglio tornare con i piedi per terra. Una terra in cui siedono, ai vertici della Repubblica, Giorgia Meloni e Sergio Mattarella. Su quest’ultimo, in particolare, vorrei spendere qualche parola.

Mattarella ha uno stile garbato, distante le mille miglia dalla volgarità e dalle intemperanze che dominano la scena politica. È un connotato importante, ma insufficiente. Lo abbiamo segnalato più volte su queste pagine, senza lesinare critiche al modo in cui ha esercitato il mandato di presidente della Repubblica

Lo abbiamo fatto sin dall’inizio della nostra avventura, nel marzo 2018, con riferimento alla gestione del passaggio istituzionale successivo alle elezioni politiche e, in particolare, all’irrituale conferimento dell’incarico di formare il Governo a Carlo Cottarelli, quando – scrivemmo allora – Mattarella «dilapidò, in un paio di minuti di speech – in quello sciagurato discorso sulla superiore autorità dei mercati e l’intangibilità dei voleri europei – il capitale di autorevolezza e d’imparzialità insieme al proprio ruolo di custode della volontà popolare (trasformato da arbitro super partes in anatra zoppa)» (https://volerelaluna.it/commenti/2018/06/02/governo-il-pianeta-dei-naufraghi/). E abbiamo proseguito in numerose altre occasioni: stigmatizzandone la timidezza istituzionale nella verifica di non manifesta incostituzionalità preliminare alla promulgazione delle leggi e all’emanazione dei decreti legge (a partire dal caso del decreto 4 ottobre 2018, n. 113 in tema di immigrazione, emanato senza colpo ferire e con il corredo di «un semplice richiamo formale dell’articolo 10 Costituzione» benché «facesse strame di consolidati e, sinora, indiscutibili fondamenti dello Stato di diritto»: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2018/10/12/la-timidezza-del-presidente-mattarella/), denunciando la superficialità e l’infondatezza di alcune sue analisi (per tutte quella sulla tragica vicenda delle foibe, oggetto di una ricostruzione unilaterale e appiattita sulla retorica revanchista e nazionalista della destra: «dedichiamo queste pagine tratte dal libro di un grande storico, Angelo Del Boca, Italiani brava gente, al presidente Mattarella – che nel giorno del ricordo, nell’escludere ogni nesso, fosse anche di contesto, tra l’orrore delle foibe e i “torti del fascismo” ha insinuato l’accusa di “negazionismo” e “riduzionismo” verso gli storici che quel nesso invece hanno indagato – con l’augurio che gli possano in futuro evitare simili scivoloni storiografici»: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/02/15/memorandum-per-il-presidente-mattarella/) e criticandone le scelte successive alla crisi del febbraio 2019, in particolare quella «di incaricare Mario Draghi senza ricavarne il nome da un ulteriore giro di consultazioni, e mettendo i partiti davanti a un fatto compiuto», così mostrando «la chiara volontà politica di uscire dalla crisi “dall’alto”, e non “dal basso”. Verso l’oligarchia e non verso la democrazia parlamentare» (https://volerelaluna.it/controcanto/2021/03/03/e-possibile-criticare-mattarella/). Da ultimo poi, con riferimento alla questione della guerra, abbiamo denunciato «la sintonia davvero impressionante tra Meloni e Mattarella: non solo nei concetti espressi, persino nelle parole utilizzate […], completamente al di fuori dal dettato dell’articolo 11 della Costituzione (una disposizione che ripudia la guerra non solo “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, ma anche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”), [con] l’evidente l’intento di disinnescare l’iniziativa diplomatica del Vaticano» (https://volerelaluna.it/controcanto/2023/05/19/ucraina-quelle-di-mattarella-e-meloni-sono-parole-di-guerra/).

La nettezza delle critiche non ci impedisce di cogliere alcuni recenti segnali di novità, in controtendenza rispetto alla tradizionale “prudenza” presidenziale. Mi riferisco, in particolare, a quattro fatti, avvenuti in sequenza nello spazio dello scorso mese di marzo. Il primo è l’inusuale e secca telefonata di Mattarella al ministro dell’interno, dopo le pesanti e gratuite cariche di polizia contro gli studenti pisani, accompagnata da una delle note più dure della sua presidenza, in cui si legge, tra l’altro, che «il presidente della Repubblica ha fatto presente al ministro dell’Interno […] che l’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni. Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento». Due settimane dopo Mattarella, parlando ai rappresentanti della polizia penitenziaria, non ha nascosto una irritata preoccupazione per la mancanza di interventi del Governo e del Parlamento capaci (quantomeno) di contenere il dramma dei suicidi in carcere («È indispensabile che si affronti sollecitamente questo aspetto. Il numero dei suicidi nelle carceri dimostra che servono interventi urgenti. È importante e indispensabile affrontare il problema immediatamente e con urgenza. Tutto questo va fatto per rispetto dei valori della nostra Costituzione, per rispetto di chi negli istituti carceri è detenuto e per chi vi lavora». Il terzo fatto è la lettera di Mattarella, con espressioni di stima e di riconoscimento, indirizzata dal presidente alla vicepreside della scuola Iqbal Masih di Pioltello, sguaiatamente attaccata dalla destra per la scelta del Consiglio di istituto (segnale di buon senso, prima ancora che di lungimiranza) di chiudere la scuola, frequentata in gran parte da bambine e bambini musulmani, nel giorno della festa conclusiva del Ramadan, con riserva di recuperare successivamente le lezioni («Ho ricevuto e letto con attenzione la sua lettera e, nel ringraziarla desidero dirle che l’ho molto apprezzata, così come – al di là del singolo episodio, in realtà di modesto rilievo – apprezzo il lavoro che il corpo docente e gli organi di istituto svolgono nell’adempimento di un compito prezioso e particolarmente impegnativo»). È cosa di questi ultimi giorni, infine, l’immediata telefonata del presidente in risposta a un messaggio del padre di Ilaria Salis, per esprimere la propria «vicinanza e solidarietà», accompagnate dalla sottolineatura della «differenza tra il nostro sistema, ispirato ai valori europei, e il sistema ungherese» e dalla precisazione di «non avere strumenti per intervenire direttamente, che appartengono invece al Governo». Pur in assenza di critiche dirette (salvo il caso dei pestaggi pisani), si tratta di prese di distanza dall’operato del Governo senza precedenti, per durezza e reiterazione, nella presidenza di Mattarella. E – dato ancor più rilevante – sono prese di distanza che riguardano aspetti fondamentali dell’attività di governo: la gestione dell’ordine pubblico, la questione carceraria, le politiche di accoglienza e integrazione dei migranti, i rapporti con i governi cosiddetti sovranisti (omologhi a quello guidato da Giorgia Meloni).

La domanda è, dunque, d’obbligo. Sono segnali di un cambio di passo del presidente della Repubblica? È presto per dirlo, e le indicazioni in senso contrario non mancano, a cominciare dal permanente allineamento con il Governo sulla guerra e sull’invio di armi all’Ucraina, alla timidezza nella reazione alla strage in atto a Gaza, al totale appiattimento sulle politiche della Nato (acriticamente definite «baluardo di democrazia»). Comportamenti – si badi – non necessitati, come mostrano i gesti di suoi autorevoli predecessori: non solo Pertini, ma anche Scalfaro «che, in uno degli ultimi giorni del suo mandato, a maggio 1999, nel campo della cooperazione italiana in Albania, prese un megafono e gridò: “I bombardamenti devono cessare!”» (https://volerelaluna.it/controcanto/2023/01/04/presidente-mattarella-un-po-piu-di-coraggio-e-coerenza/ ).

È presto per dire se ci aspetta un maggior interventismo del presidente in difesa della Costituzione, ma mi ostino a coltivare una speranza. So bene che Mattarella non seguirà l’esempio dello straripante Servillo e manterrà il suo stile sobrio e attento a dosare sostantivi e aggettivi. So anche che il sistema costituzionale limita i poteri del Capo dello Stato e rifugge (opportunamente) da dualismi di vertice. Ma sono, allo stesso tempo, convinto che il sempre più evidente disegno del Governo e della maggioranza di mettere fine al progetto di affermazione di diritti, di libertà, di uguaglianza nato con la Resistenza, imponga al presidente della Repubblica parole, gesti e atti formali espliciti in difesa della Costituzione.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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