10. Islamofobia e islamo-gauchisme

(leggi precedente 9.)

Strettamente connesso al discorso sull’immigrazione è quello sull’islam, che per la sua complessità merita uno spazio a parte.

Tra le diverse comunità di immigrati presenti nel nostro paese, quella che viene avvertita come più estranea e con la quale, per conseguenza, i rapporti risultano più problematici e l’integrazione più difficile è la comunità islamica.

La radice del difficile rapporto islam/occidente è stata a suo tempo ben messa a fuoco da Emanuele Severino: «Nel medioevo la cultura cristiana e quella islamica crescono entrambe nel terreno della filosofia greca. Poi il cristianesimo, a differenza dell’Islam, si imbatte nella cultura moderna, che lo mette radicalmente in questione […] L’Islam ignora l’atteggiamento critico in cui consiste la modernità».[1]

I fenomeni migratori hanno portato all’incontro-scontro tra due mondi separati dalla storia, provocando una specie di shock culturale. La società secolarizzata occidentale vede sopraggiungere un elemento perturbante e minaccioso, una sorta di fantasma proveniente dal passato. Si capisce quindi la paura, la diffidenza e l’ostilità che ne derivano. D’altra parte, l’islamico si trova catapultato in un mondo estraneo che avverte come una minaccia per la propria identità. Trovare un compromesso non è possibile, o comunque non è per niente facile, perché ognuna delle due parti avverte (giustamente) l’altra come inconciliabile col proprio modo di essere. E non si tratta di dispute puramente teoriche, che possono rimanere confinate negli studi di filosofi e teologi, bensì di manifestazioni che si esprimono nelle mille situazioni della vita di tutti i giorni.

Non ha molta forza l’argomento dell’occidentale, secondo cui lo scontro avviene a casa sua e per evitarlo basterebbe che l’islamico se ne tornasse da dove è venuto. Non ha molta forza perché l’islamico è sempre più spesso di seconda o anche di terza generazione. E comunque, negli intrecci successivi al post-colonialismo e al neocolonialismo della globalizzazione, nessuno sta più a casa propria. E se proprio vogliamo essere precisi, sono stati i francesi ad andare per primi in Algeria, non gli algerini ad andare in Francia, e sono sempre i francesi che ancora oggi si intromettono negli affari interni dei paesi dell’Africa Occidentale, non questi ultimi a intromettersi nella vita politica francese.

D’altra parte, non è nemmeno ragionevole aggiungere ai tanti deliri del politicamente corretto, anche l’islamofobia. È chiaro, come detto prima, che dal punto di vista dell’islamico vedere il proprio credo messo in discussione equivale a sentirsi attaccato. Il punto è che non è attaccato in quanto islamico, ma in quanto portatore di un credo non abituato ad adattarsi al contesto circostante, al quale il cristianesimo si è adattato, e non può pretendere che il resto del mondo arresti l’orologio al medioevo per adattarsi a lui. Coniare addirittura il termine di islamofobia lascia più di una perplessità. Seguendo tale logica, bandiremo Voltaire dalle biblioteche in quanto cristianofobo?

Le perplessità aumentano quando il termine viene pronunciato da politici che si definiscono di sinistra. Significa essere islamofobi se si critica la sharia? O fare ironia sulle credenze islamiche, come normalmente si fa con quelle cristiane? Sono posizioni, inutile ripeterlo, che offrono paradossalmente alla destra la possibilità di presentarsi come paladina del libero pensiero.

Altrettanto singolare è il caso di alcuni ambienti di estrema sinistra spesso portati addirittura a simpatizzare con l’islam, fenomeno conosciuto in Francia col termine islamo-gauchisme.[2]

Intanto possiamo escludere con ragionevole certezza che la simpatia sia ricambiata. L’altra parte accetterà la solidarietà per una discriminazione vera o presunta subita, ma difficilmente la ricambierà in una manifestazione per i diritti delle donne o per la legalizzazione delle droghe leggere.

La sinistra, si sa, è storicamente laica. Spesso, antireligiosa. La religione è l’oppio dei popoli è una frase che suona bene a qualsiasi persona di sinistra. Eppure, sembra che da qualche decennio a questa parte, l’islam costituisca un’eccezione. Per quanto paradossale, il fenomeno ha una spiegazione. Ovviamente, non vi è alla base alcuna vicinanza ideologica. Tutt’altro. Tra le religioni monoteiste, quella islamica è obiettivamente quella in cui è più prevalente la parte conservatrice. Non si vuol dire con ciò che l’islam sia peggio del cristianesimo. Quest’ultimo sarebbe allo stesso livello dell’islam, se negli ultimi cinque secoli, come ricordato prima, non si fosse dovuto misurare con pensiero scientifico e illuminismo, che lo hanno costretto, per così dire, obtorto collo, a un processo di secolarizzazione e di apertura alla modernità. Le sacche integraliste si sono così ridotte a componenti minoritarie, spesso pittoresche e di fatto ininfluenti. L’islam invece non ha dovuto misurarsi nella sua storia con correnti di pensiero forti con le quali scendere a compromesso, per cui ha conservato quei tratti totalizzanti che caratterizzano ogni religione e che la assimilano al cristianesimo medievale. Capiterà di assistere a manifestazioni di piazza in Pakistan per una vignetta irriguardosa pubblicata in Danimarca, ma è molto improbabile che una folla di cristiani si raduni in piazza a Copenaghen per protestare per un crocifisso o anche per un’intera chiesa, con fedeli inclusi, bruciati in Pakistan.

Per il resto, quando si tratta di affrontare temi come omosessualità, aborto e simili, islamici e cristiani sono pronti a fare fronte comune e li abbiamo visto pure parlare dallo stesso palco.

Da dove viene allora questa simpatia e/o indulgenza dell’estrema sinistra verso l’islam?

La risposta è semplice. L’origine è da ricercarsi in quella che può essere considerata come la madre di tutte le tensioni legate al rapporto col mondo arabo: l’annosa questione del conflitto israeliano-palestinese, appena tornato sotto la luce dei riflettori, sebbene non abbia mai smesso di essere di attualità.

La sua nascita è rappresentata dalla scellerata decisione dei paesi occidentali di indennizzare il popolo ebraico per la persecuzione subita dal regime nazista. Nel tipico atteggiamento occidentale di ritenersi i padroni dell’intero globo terrestre, gli ebrei non furono indennizzati né con territori tedeschi né con territori americani, bensì con la terra di un altro popolo.[3]

Ma se identificare i responsabili dell’origine della situazione attuale è facile e se nel 1948 si poteva ben separare la ragione dal torto, oggi che i protagonisti di allora sono tutti morti, è impossibile farlo. Anche gli israeliani, essendo nati lì, hanno il diritto di sentire quella terra come propria né li si può perseguire per colpe commesse da altri.

Il dato di fatto è che la decisione del 1948 ha partorito un mostro che non è più possibile tenere a bada.[4] A ciò si aggiunga la politica seguita da Israele negli ultimi decenni. Sono decine e decine le risoluzioni ONU disattese.[5] In qualche caso anche in maniera provocatoria, facendo esattamente il contrario di quanto gli si chiedeva. Allora, va bene il diritto ad esistere, meno bene è non avere doveri.

Non servono fini analisti (cioè, a politici e giornalisti italiani forse servirebbero) per capire che se Israele insiste nel violare il diritto internazionale, continuando a costruire insediamenti nei territori occupati e continuando a violare la Quarta Convenzione di Ginevra[6], nonostante le risoluzioni ONU l’abbiano ripetutamente condannato, pone le premesse per un acutizzarsi del conflitto. Cosa che puntualmente è accaduta. Le stragi di Hamas, come del resto la sua stessa esistenza, sono le dirette conseguenze di una politica volta a rendere difficile la vita dei palestinesi e a indebolirne i rappresentanti più moderati. 

Il segretario generale dell’ONU lo ha detto chiaramente: «gli attacchi di Hamas non sono avvenuti dal nulla». È una verità oggettiva, non una giustificazione né, tanto meno, una condivisione. Eppure, la sua dichiarazione ha scatenato le ire del governo israeliano. Il motivo è semplice. Fornire una spiegazione significa evidenziare un problema, mentre il governo israeliano preferisce non vedere alcun problema, anche perché l’esistenza di un problema, a sua volta, implicherebbe delle responsabilità. Più comodo quindi fermarsi al 7 ottobre, come se quanto accaduto prima fosse ininfluente. Più comodo, tutt’al più, evocare lo spettro dell’antisemitismo come causa scatenante di quella “bestiale crudeltà”. I giornali italiani, manco a dirlo, col loro sensazionalismo da baraccone, sono stati i primi a parlare di pogrom.

Evidentemente, quanto accaduto immediatamente prima, come sequestrare le entrate fiscali che Israele raccoglie per conto dell’ANP o come la decisione del ministro per la sicurezza, dopo aver passeggiato sulla Spianata delle Moschee, di vietare le bandiere palestinesi nelle manifestazioni, perché simbolo di terrorismo, va letto come manifestazione di buona volontà e come un segno per allentare la tensione,[7] non come azioni, che insieme a tante altre, hanno contribuito all’esplosione di violenza di Hamas.

Non si perde occasione di ribadire il diritto di Israele ad esistere, ma intanto lo stato di Israele esiste, quello che non esiste è lo stato palestinese. All’indomani di ogni scoppio di violenza e di ogni strage, tutti ripetono all’unisono: la soluzione è quella dei due stati. E fin qui ci siamo. Il punto è come si arriva a questa soluzione se uno dei due stati occupa quello che dovrebbe essere il territorio dell’altro e continua ad autorizzare insediamenti in quel territorio.[8] Il primo passo dovrebbe essere quello di obbligarlo a osservare le risoluzioni dell’ONU. L’unico paese che può farlo sono gli USA, ma non solo non lo fanno e continuano anzi a difendere le decisioni arbitrarie e unilaterali di Israele, si sono pure opposti – giusto per dare un’idea di quanto anche sotto la guida di un Nobel per la pace abbiano contribuito al processo di pace – all’ammissione dello stato palestinese all’ONU nel 2011 ed hanno votato contro l’anno dopo anche contro la sola concessione dello status di osservatore permanente.[9] Cuba continua a essere sottoposta a embargo da decenni, e non si capisce bene quale sia la sua colpa, a parte quella di non genuflettersi agli americani; Israele, invece, calpesta da sempre il diritto internazionale senza essere mai andato incontro ad alcuna sanzione.

Ancor più difficile è in Italia la capacità di contestualizzare i fatti. Nel momento in cui la violenza torna a esplodere, ci si dimentica, tanto in politica quanto sui giornali, che si tratta solo dell’ennesimo sanguinoso capitolo di una guerra ormai quasi secolare, nel corso della quale le atrocità non si contano e sono state commesse da entrambe le parti, assimilandola piuttosto agli attacchi terroristici compiuti in Europa da individui esaltati. Forse perché ogni ragionamento più lungo di un minuto fatica a essere recepito e un articolo con più di una subordinata a essere letto da una buona parte dell’opinione pubblica, o forse perché puntando sull’impatto emotivo si va sul sicuro, fatto sta che, come per la guerra in Ucraina, rimane spazio solo per il tifo e la retorica.

Mentre nello stesso Israele, il giorno dopo le stragi, il quotidiano Haaretz si scaglia contro Netanyahu, che avendo seminato vento, raccoglie tempesta, da noi si leva il conformistico coro del «senza se e senza ma» in difesa di Israele, «l’unica democrazia del Medio Oriente».[10] «L’unico paese democratico del Medio Oriente, ma anche il solo, democratico, che occupa la terra di un altro popolo».[11] Vai a capire poi quanto sia democratico demolire le case delle famiglie degli attentatori[12] o la pratica dell’arresto amministrativo.[13]

Per concludere, tornando allo strano connubio sinistra radicale/islam, è naturale che la sinistra solidarizzi con gli oppressi, nonché con le vittime, che come in ogni guerra sono prevalentemente cittadini innocenti di ambo le parti, ma andrebbero tenuti ben separati persone e religione, un conto è solidarizzare con gli oppressi, ben altro è solidarizzare con l’islamismo, così come un conto è criticare la politica sionista israeliana, cosa che, come detto, molti stessi israeliani fanno,[14] cosa diversa essere antisemiti.

Sul registro del grottesco invece, tanto per cambiare, si colloca la linea del PD. Se, da una parte, si presenta come la più ferma sentinella contro ogni forma di islamofobia, dall’altra, diventa improvvisamente balbuziente quando si parla della questione palestinese. In occasione di ogni strage, di ogni episodio di violenza e di ogni riacutizzarsi del conflitto, la prima cosa che i rappresentanti del PD diranno sarà: «non si discute il diritto a esistere di Israele». Il diritto a esistere dello stato palestinese comparirà solo nel secondo step e spesso solo implicitamente, quando ripeteranno: «l’unica possibile soluzione del conflitto è quella dei due stati». Non specificheranno mai, tuttavia, quali passi concreti dovrebbe fare l’Italia per arrivare a questo risultato, a parte gli auspici di rito. Se, per esempio, non sia il caso di mettere in atto delle sanzioni per spingere Israele al rispetto del diritto internazionale. E soprattutto non condanneranno mai apertamente l’occupazione israeliana e i crimini commessi. Mai. Questo è proprio al di là delle loro possibilità. Al di là di gentili eufemismi non riescono ad andare. Dopo diecimila civili uccisi in un mese, tutt’al più prenderanno in prestito le parole del segretario generale della NATO: «la risposta di Israele sia proporzionata». Cioè, cinquemila potevano bastare.

(leggi successivo 11.)


[1] Emanuele Severino, Il tramonto della politica.

[2] https://blog.uaar.it/2021/02/26/quelle-relazioni-pericolose-tra-sinistra-islam/

[3] Ovviamente il discorso della terra promessa non può costituire un argomento minimamente ragionevole, come non lo sarebbe se i discendenti dei Sioux chiedessero le città di Minneapolis o Kansas City perché lì tre secoli addietro (non duemila anni fa) vivevano i loro antenati.

[4] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/escalation-israele-palestina-12-grafici-per-capire-come-siamo-arrivati-fin-qui-126406 (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

[5] https://www.lagone.it/2021/05/31/israele-lo-stato-dellillegalita-internazionale-tutte-le-risoluzioni-onu-violate/ (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

[6] La Quarta Convenzione di Ginevra protegge da atti di violenza e dall’arbitrio i civili che si trovano in mano nemica o in territorio occupato.

[7] https://ilmanifesto.it/le-sanzioni-israeliane-sono-un-altro-chiodo-nella-bara-dellanp (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

[8] Questo è il sito di un’organizzazione di veterani dell’esercito israeliano che testimonia la condotta dei soldati israeliani nei Territori occupati.

https://www.breakingthesilence.org.il

[9] Risoluzione 67/19.

[10] https://www.ilfoglio.it/esteri/2018/02/14/news/israele-netanyahu-democrazia-178986/ (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

[11] “La democrazia israeliana, l’estrema destra al potere e l’occupazione della Palestina” di Arianna Ciccone.

https://www.valigiablu.it/israele-democrazia-estrema-destra-occupazione-palestina/ (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

[12] https://www.ilpost.it/2016/01/18/demolizione-case-palestinesi/ (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

[13] https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/13/detenzione-amministrativa-israele-significato-definizione-cose/ (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

[14] https://www.haaretz.com/israel-news/2023-10-15/ty-article/.premium/far-right-israelis-threaten-attack-journalist-who-dedicated-a-prayer-to-gaza-victims/0000018b-3434-d450-a3af-7d3ccb9d0000 (consultato l’ultima volta il 2/12/2023).

Di Giovanni

"Trascorsi nell'antico Pci, ho lavorato in diverse regioni italiane e all'estero (Francia, Cina, Corea), scrittore per hobby e per hobby, da qualche tempo, ho aperto anche un blog ( quartopensiero ) nel quale mi occupo, in maniera più o meno ironica, dei temi che mi stanno a cuore: laicità, istruzione, giustizia sociale e cose di questo tipo."

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