C’è stato un tempo – meno lontano di quello che potremmo pensare – in cui conoscevamo i nomi degli alberi. In quel tempo non ci bastava dire albero, perché sapevamo che si trattava di una quercia o di un olmo o di una qualche altra specie di pianta perenne legnosa con il fusto. Anzi allora la parola albero – derivando dal latino albus, che significa bianco – indicava il pioppo, la specie più diffusa nella nostra pianura, che era molto più boscosa di quanto adesso possiamo immaginare. E Boccaccio infatti – che conosceva i diversi nomi delle piante – poteva ancora scrivere “fra gli strabocchevoli balzi, surgeva d’alberi, di querce, di cerri e d’abeti un folto bosco.”
Raccontano gli antichi che Ade, il dio degli inferi, si innamorò della ninfa Leuce, la bianca, la più bella delle figlie di Oceano. Leuce divenne la regina degli inferi, ma era mortale e quando il suo tempo arrivò, Ade la fece rinascere nei Campi Elisi, sotto le spoglie di un pioppo bianco, accanto alla fontana di Mnemosine, la dea della memoria. Si tratta di una storia antichissima, probabilmente anteriore a quella di Persefone, anch’essa amata da Ade e divenuta sua sposa. E infatti la foglia del pioppo è scura da una parte e chiara dall’altra, per indicare i due regni a cui Leuce ha avuto accesso, quello della vita e quello della morte. Così come si racconta che Persefone trascorra metà dell’anno negli inferi e metà sulla terra e il suo ritorno porti la primavera e le messi. Gli uomini hanno sempre avuto paura del dio degli inferi, comunque lo abbiano chiamato, ne temevano il giudizio, ma sapevano anche che la morte è indispensabile alla vita, che la natura ha i suoi cicli e che accettarne l’ineluttabilità – e anche l’imponderabilità – è l’unico modo per ritagliarsi un momento di speranza. Sapere che in un qualche luogo a cui non giungeremo mai c’è quel pioppo bianco, simbolo dell’amore, accanto a quella fonte, simbolo della memoria, ci rende un po’ meno gravoso vivere su questa terra.
Anche per questo mi ha preoccupato sapere che in Italia nel 2017 sono andati a fuoco già 141mila ettari di bosco. Il dato va letto insieme a un altro: negli ultimi centocinquant’anni, ossia dall’unità d’Italia, nel nostro paese gli alberi sono aumentati. Nonostante gli incendi, ci sono più alberi, più boschi, ma si tratta troppo spesso di aree che, a differenza di quello che avveniva nel passato, sono senza alcun controllo, sono di fatto impenetrabili ai necessari interventi di manutenzione e di difesa, e quindi da possibile risorsa rischiano di diventare pericoli o comunque soggetti a degrado e incendi. Anche perché sono morti quelli della generazione che conosceva i nomi degli alberi e noi non ci siamo dati la briga di impararli. Per noi sono alberi e basta; non più pioppi, querce, cerri, abeti e così via, in una miriade di varianti, tante quante sono le lingue degli uomini; e le storie che hanno raccontato. E tanti quanti sono gli alberi.

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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