Una scena di Buskashì


Francesco Cecchini


Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra Gino Strada
Buskashì, che letteralmente significa afferra la capra, è il gioco, sport nazionale afghano: due squadre di cavalieri si contendono la carcassa di una capra decapitata. È violento, senza regole. L’unica cosa che conta è il possesso della carcassa, o almeno di quello che ne resta al termine della gara. Per certi versi il Buskashì è l’ Afghanistan e al posto della carcassa di capra c’è il popolo dell’Afghanistan.
Buskashì. Viaggio dentro la guerra è un libro scritto da Gino Strada e pubblicato nel 2002. E’ il racconto del viaggio, che inizia il 9 settembre 2001, due giorni prima dell’ attentato al World Trade Center di New York, compiuto dalla delegazione di Emergency per raggiungere l’Afghanistan. E’ il momento in cui il paese viene abbandonato da tutte le organizzazioni internazionali e si chiudono i confini. L’ arrivo nella valle del Panchir, l’attraversamento del fronte sotto i bombardamenti per raggiungere Kabul alla vigilia della disfatta dei Talebani, la conquista della capitale da parte dei mujaheddin dell’Alleanza del Nord, la Kabul “liberata”: fu l’ esperienza della guerra vista dagli unici testimoni occidentali della presa di Kabul.
L obiettivo del gruppf di Emergency fu quello di raggiungere l’ ospedale di Kabul aperto in precedenza dall’organizzazione e che aveva dovuto chiudere in seguito all’aggressione da parte dei talebani avvenuta il 17 maggio 2001. Ma il viaggio, intrapreso con grande entusiasmo, si rivelò una vera e propria odissea: come se non bastassero gli orrori della guerra e tutte le problematiche di ogni genere che questa porta con sé, sul sentiero di Gino Strada e degli altri volontari si affaccia anche l’ombra della burocrazia. Per vincere la “sfida”, infatti, il gruppo si ingegna in ogni modo possibile, si giocano tutte le carte, ci si appella alle varie autorità disseminate lungo i confini afgani che ancora sembrano avere una parvenza di controllo sulla situazione. La “battaglia” per l’accesso al paese si trasforma in un gioco di permessi e lasciapassare di ogni genere, quasi sempre inutili, insufficienti, non validi; tutto questo nel momento il cui tutti gli stranieri presenti sul territorio afgano stanno abbandonando il paese con in mano biglietti di sola andata. Ma una volta a Kabul la soddisfazione sarà ancora più grande, raggiunto l’obiettivo di varcare il confine ci si può ora finalmente dedicare alla vera missione: aiutare incondizionatamente chi già prima aveva poco e ora ha ancora meno. Reso nuovamente efficiente l’ospedale, dopo mesi di abbandono, il team è pronto ad accogliere i feriti: tutti, civili, talebani o mujaheddin che siano.
Il libro, oltre a offrire uno sguardo approfondito sulla guerra vista dall’interno, è anche un’ottima occasione per poter condurre un’analisi dettagliata sulla popolazione afgana: dall’inizio dei conflitti, risalente a decine di anni fa, la popolazione dell’Afghanistan ha subito un alternarsi innumerevole di vicende storico-politiche. Il territorio afgano è divenuto più volte tavolo di trattative tra potenze occidentali e non, vedendo così riversarsi tra le sue strade fiumi di armi e denaro il cui unico effetto è stato quello di alimentare costantemente incomprensioni già esistenti. Giochi di potere e interessi privati condotti alle spalle di una società patriarcale, una società nella quale si ragiona sempre per gruppi, impostata saldamente sul concetto di tribù come fulcro della cultura.
Gino Strada ha voluto inserire nell’appendice al libro il testo della Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948 e ha scritto: “A cinquantaquattro anni dalla prima firma, non c’è un paese che abbia messo in pratica tutti gli articoli che ha firmato.” Si era nel 2002, ma la frase di Gino Strada è ancora valida nel 2021 per molti paesi del mondo.
L articolo Così ho visto morire Kabul, di Gino Strada, è stato pubblicato su La Stampa il 13 agosto 2021.
Si parla molto di Afghanistan in questi giorni, dopo anni di coprifuoco mediatico. E difficile ignorare la notizia diffusa ieri: i talebani hanno conquistato anche Lashkar-Gah e avanzano molto velocemente, le ambasciate evacuano il loro personale, si teme per l aeroporto. Non mi sorprende questa situazione, come non dovrebbe sorprendere nessuno che abbia una discreta conoscenza dell Afghanistan o almeno buona memoria. Mi sembra che manchino, meglio: che siano sempre mancate, entrambe. La guerra allAfghanistan è stata — né più né meno — una guerra di aggressione iniziata all indomani dellattacco dell Il settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali. Il Consiglio di Sicurezza, unico organismo internazionale che ha il diritto di ricorrere all uso della forza, era intervenuto il giorno dopo lattentato con la risoluzione numero 1368, ma venne ignorato: gli Usa procedettero con una iniziativa militare autonoma (e quindi nella totale illegalità internazionale) perché la decisione di attaccare militarmente e di occupare lAfghanistan era stata presa nellautunno del 2000 già dall Amministrazione Clinton, come si leggeva allepoca sui giornali pakistani e come suggerisce la tempistica dellintervento. Il 17 ottobre 2001 laviazione Usa diede il via ai bombardamenti aerei. Ufficialmente l Afghanistan veniva attaccato perché forniva ospitalità e supporto alla guerra santa anti-Usa di Osama bin Laden. Così la guerra al terrorismo diventò di fatto la guerra per leliminazione del regime talebano al potere dal settembre 1996, dopo che per almeno due anni gli Stati Uniti avevano trattato per trovare un accordo con i talebani stessi: il riconoscimento formale e il sostegno economico al regime di Kabul in cambio del controllo delle multinazionali Usa del petrolio sui futuri oleodotti e gasdotti dall Asia centrale fino al mare, cioè al Pakistan. Ed era innanzitutto il Pakistan (insieme a molti Paesi del Golfo) che aveva dato vita, equipaggiato e finanziato i talebani a partire dal 1994. Il 7 novembre 2001, il 92 per cento circa dei parlamentari italiani approvò una risoluzione a favore della guerra. Chi allora si opponeva alla partecipazione dellItalia alla missione militare, contraria alla Costituzione oltre che a qualunque logica, veniva accusato pubblicamente di essere un traditore dellOccidente, un amico dei terroristi, un anima bella nel migliore dei casi. Invito qualche volonteroso a fare questa ricerca sui giornali di allora perché sarebbe educativo per tutti. L intervento della coalizione internazionale si tradusse, nei primi tre mesi del 2001, solo a Kabul e dintorni, in un numero vittime civili superiore agli attentati di New York. Nei mesi e negli anni successivi le informazioni sulle vittime sono diventate più incerte: secondo Costs of War della Brown University, circa 241mila persone sono state vittime dirette della guerra e altre centinaia di migliaia sono morte a causa della fame, delle malattie e della mancanza di servizi essenziali. Solo nellultimo decennio, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Umuna) ha registrato almeno 28.866 bambini morti o feriti. E sono numeri certamente sottostimati. Ho vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare il numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente divorato dallinsicurezza e dalla corruzione. Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi lesito di quellaggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista. Oltre alle 241 mila vittime e ai 5 milioni di sfollati, tra interni e richiedenti asilo, lAfghanistan oggi è un Paese che sta per precipitare di nuovo in una guerra civile, i talebani sono più forti di prima, le truppe internazionali sono state sconfitte e la loro presenza e autorevolezza nellarea è ancora più debole che nel 2001. E soprattutto è un Paese distrutto, da cui chi può cerca di scappare anche se sa che dovrà patire linferno per arrivare in Europa. E proprio in questi giorni alcuni Paesi europei contestano la decisione della Commissione europea di mettere uno stop ai rimpatri dei profughi afgani in un Paese in fiamme. Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre 2 mila miliardi di dollari, l Italia 8,5 miliardi di Euro. Le grandi industrie di anni ringraziano: alla fine sono solo loro a trarre un bilancio positivo da questa guerra. Se quel fiume di denaro fosse andato all Afghanistan, adesso il Paese sarebbe una grande Svizzera. E peraltro, alla fine, forse gli occidentali sarebbero riusciti ad averne così un qualche controllo, mentre ora sono costretti a fuggire con la coda fra le gambe. Ci sono delle persone che in quel Paese distrutto cercano ancora di tutelare i diritti essenziali. Ad esempio, gli ospedali e lo staff di EMERGENCY, pieni di feriti, continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo anche dei rischi per la propria incolumità: non posso scrivere di Afghanistan senza pensare prima di tutto a loro e agli afghani che stanno soffrendo in questo momento, veri eroi di guerra.
Gino Strada

Copertina del libro Buskashì

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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