Proviamo a considerarli per come si presentano questi nostri governanti, prescindiamo, please, dalla coloritura politica: taluni (troppi) incolti, altri non perspicaci, altri ancora frettolosi e anche pigri, tutti maldestri.

 Avessero almeno leggiucchiato qualche manualetto di retorica o, banalmente, di tecnica della comunicazione: avrebbero  evitato penose retromarcie a fronte di inutili dichiarazioni.

 Avvertissero almeno, prima di dire pubblicamente, lo scrupolo di documentarsi anche solo attingendo dallo smartphone: non sarebbero incorsi in imperdonabili errori sui fatti del nostro passato più o meno prossimo.

 Fossero meno faciloni e corredati di un po’ di utilissima umiltà si asterrebbero da scelte perfettamente irrilevanti e però pericolosamente ambigue: come il Consiglio dei Ministri a Cutro o quello in programma il primo maggio.

 In una parola, irrimediabilmente, gravemente, pericolosamente (per loro e, soprattutto, per gli Italiani) maldestri.

 Ma anche protervi e poi inabili a difendersi a fronte delle critiche suscitate: spuntano giustificazioni implausibili, spesso ridicole. Come il ministro Valditara, uomo certamente colto, che, scappandogli il freno del linguaggio passionale, dichiara che “l’umiliazione serve per far crescere gli studenti”; e poi si affatica a spiegarci che no, è stato un lapsus linguae, che ‘umiliazione’ deve leggersi, e intendersi, ‘umiltà’.

 Come il Presidente del Senato che ha definito i nazisti uccisi in via Rasella come una banda di musicanti semi-pensionati; e poi ha riconosciuto di essersi sbagliato, ma aggiungendo che la colpa sarebbe solo della fonte a cui aveva attinto, poi rivelatasi purtroppo imprecisa.

 Come il Ministro Lollobrigida che ha incentivato gli Italiani a fare figli agitando lo spettro della “sostituzione etnica”; e poi si è difeso argomentando che, nella lingua italiana, etnia proprio non c’entra nulla con razza, significando, invece, cultura. Ovvio che ogni popolo ha la sua ed è ovvio che ogni popolo la difenda, ha concluso Lollobrigida; e lui, da Ministro e da cittadino, sostiene naturalmente la cultura della Nazione italiana.

 Esempi che potremmo arricchire, implementare, certamente destinati a proliferare; Ministri folcloristici, variopinti, introdotti in contesti tutti loro ma poco attenti al contesto generale del Paese; un Governo che dà l’impressione di non padroneggiare, non conoscendole o non conoscendole a fondo, le situazioni in cui è chiamato ad intervenire.

 Poi, al Vinitaly, il Presidente Meloni lancia nel futuro della Nazione il Liceo made in Italy (proprio così, anche nel disegno di legge: una specie di marchio doc, come per un vino, ma espresso in inglese …).

 Quali gli orizzonti di questa assoluta novità? Eccoli: cultura, territori, identità. Ma relazionati alla funzione di “tutelare il brand italiano” (ohibò, rispunta l’inglese) e promuovere la “conoscenza di come sono strutturate e lavorano le piccole e medie imprese italiane”.

 Questa dovrebbe essere la dimensione della cultura italiana; e dentro questa dimensione, penso, dovrebbero assumersi e selezionarsi i contenuti del Liceo made in Italy. L’impressione è che questo Liceo dovrebbe essere strumentale alla promozione delle (cosiddette) eccellenze italiane nei settori in cui l’Italia si sente leader: i settori dell’enogastronomia, del turismo, del terziario, dell’artigianato. Settori che questo governo cerca di proteggere anche quando non dovrebbe (esempio: i balneari).

 Ma è questa la cultura che l’Italia ha espresso per almeno un paio di migliaio di anni in conseguenza di una storia, questa sì eccellente per davvero perché unica al mondo. Di questa storia i nostri governi che percezione hanno? Vedono solo gli splendidi monumenti di tante città e borghi e li convertono semplicemente in bene produttivi di profitto ora anche per i proprietari di b&b spuntati come funghi in ogni dove? Piuttosto che si fa di questa storia nelle scuole e nelle università?

 L’esperienza di docente mi suggerisce che la si studia poco e male. Ma qui occorrerebbe una rivoluzione nell’interesse della Nazione a cui Giorgia Meloni si appella riducendolo, però, a un vuoto slogan.

 Si vuol, però, blindare la cultura italiana. Ma la cultura italiana è altro, e tanto di più, dei tour monumentali, degli eventi museali, dei vini piemontesi o veneti, della pizza: mete turistiche, manifestazioni, eventi museali, prelibatezze attirano i turisti, fanno guadagnare le piccole imprese (che il governo ha ampiamente favorito con la flat tax), ma tutto ciò non fa gli Italiani.

Da un governo di destra ci sarebbe aspettato che mettesse in campo una strategia volta a rendere l’Italia più forte e consapevole: più consapevole del proprio passato e più forte e economicamente. Nulla di tutto questo si sta facendo.

 La destra continua a cadere scioccamente nei tranelli della sinistra che sembra volere (anche se credo non lo pensi) che la storia d’Italia abbia inizio nel 1943. E continua a non capire che il Paese avrà sì fame di turismo (facile rendita di posizione, tra l’altro, pericolosa per il nostro patrimonio storico-ambientale), ma non potrà mai sollevare la testa là dove conta, cioè a livello internazionale, se non opererà un serio rilancio industriale.

 L’impressione è che ambiguità e confusione regnino incontrastate. E anche che si sia ancorati a una visione arretrata del mondo: preoccupante un certo atteggiamento antiscientifico che si è più volte affacciato, dalla diffidenza verso i vaccini (occhiolino ai no vax) al divieto della (cosiddetta) carne sintetica (occhiolino ai produttori di carne italiana).

 E’ vero però che i primi a non conoscere la storia italiana sono gli Italiani: un deficit incomprensibile e del quale la sinistra è in buona parte responsabile. Ma se e’ il tempo di accogliere i migranti come strategia per salvare il Paese, bisognerà integrarli, come insegnano esperienze di successo del passato (impero romano) e del presente (USA).

 Questi nuovi cittadini dovrebbero divenire patrioti nell’accezione migliore: dovranno prendersi cura anche della nostra storia con tutto ciò che questo comporta. Ma, di grazia, chi gliela insegnerà? Per caso qualcuno coltiva un progetto serio in questa direzione? Forse il Ministro Lollobrigida?

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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