Era il 1939, mentre l’Europa si preparava a combattere una guerra lunga e drammatica – da cui sarebbe uscita profondamente trasformata – in pochi mesi di quell’anno così denso di storia – e di storie – a Hollywood, per una strana congiuntura del destino, si girarono alcuni film destinati a diventare pietre miliari nella storia del cinema.
L’America di Roosevelt aveva bisogno di un eroe. Non poteva essere Clark Gable: troppo canaglia; né Cary Grant: troppo elegante; né John Wayne: troppo cowboy. James Stewart era perfetto: un eroe normale. E Mister Smith va a Washington di Frank Capra era il film perfetto per far diventare James Stewart questo nuovo eroe che l’America del new deal stava cercando. E’ la storia di un giovane ingenuo e sognatore che i politicanti del suo stato fanno diventare senatore, sicuri di poterlo pilotare per garantire i loro poco commendevoli interessi. Ma il “normale” mister Smith reagisce e, quando viene attaccato, dimostra una forza di volontà che nessuno dei suoi antagonisti aveva sospettato. E alla fine vince, anche grazie all’aiuto di uno dei “cattivi”, il vecchio senatore Paine – uno splendido Claude Rains, che sarà poi il capitano Renault di Casablanca – che, dopo il lungo discorso di ventitré ore del giovane Smith di fronte al Senato, cede e ammette le sue colpe. Capra sa che i politici non si pentono, hanno mandato a Washington Roosvelt, ma che si limiti a fare il presidente, senza interessarsi troppo degli affari nei loro stati, specialmente quelli governati dai democratici; ma questo non poteva raccontarlo.
Dire che Ombre rosse di John Ford sia un western è un’ovvietà, eppure è anche un errore. Solo un grande come Ford poteva realizzare un classico del genere, che ne rispetta tutti i cliché e anzi li codifica – dopo Ombre rosse ogni assalto alla diligenza è per forza di cose una citazione di questo film – e allo stesso tempo un film che trascende il genere. Quel gruppo di donne e uomini costretti a trascorrere del tempo insieme nella diligenza sono evidentemente una metafora della società e Ford ci dice che saranno gli “irregolari”, come Ringo, come la prostituta Dallas, come il medico ubriacone, a salvare il mondo. Ombre rosse è un film profondamente politico che racconta l’America, ma che guarda anche al mondo che in quel momento è sull’orlo del precipizio.
E poi, sempre nel 1939, venne girato il grande colossal in Technicolor, Via col vento, un film che ha cominciato a dirigere George Cukor, licenziato all’inizio delle riprese, poi sostituito da Victor Fleming, coadiuvato da Sam Wood che subentrò direttamente quando Fleming dovette prendersi una pausa per curarsi da un esaurimento nervoso. Il produttore David O. Selznick merita di essere considerato, a tutti gli effetti, tra gli autori del film. Sinceramente non so se Via col vento sia un grande film: a me sinceramente non è mai piaciuto molto. Ma sapete come mi risponderebbero, per una volta d’accordo, Rossella O’Hara e Rhett Butler? Francamente ce ne infischiamo. E avrebbero ragione, perché Via col vento è entrato nella storia della cultura del Novecento e nessuno potrà toglierlo da lì.
Questi tre film così diversi hanno in comune qualcosa; o meglio qualcuno.
Quasi certamente non ricordate il nome di Thomas Mitchell, ma se vi piacciono i vecchi film americani conoscete sicuramente la sua faccia, perché Thomas Mitchell è uno dei più grandi caratteristi della storia del cinema. Era nato nel 1892 a Elizabeth, nel New Jersey, e a poco più di vent’anni cominciò a recitare in una compagnia che metteva in scena le opere di William Shakespeare. Poi nel 1923, come tanti altri attori dei roaring twenties, andò a Hollywood: non aveva il fisico del protagonista, non era bello, non era molto alto, era un po’ grassottello, ma era dannatamente bravo a recitare e così cominciò a lavorare e fece decine di film. E nel 1939 interpretò il faccendiere del senatore Paine nel film di Capra, il medico alcolizzato di Ombre rosse e Gerald O’Hara, il padre di miss Rossella. Per la cronaca sempre in quell’anno interpretò anche Clopin, il re dei mendicanti della Corte dei miracoli in Notre Dame di William Dieterle e l’aviatore Kid Dabb in Solo gli angeli hanno le ali di Howard Hawks, a fianco di Cary Grant. Per Mitchell il 1939 fu davvero un grande anno e fu certamente meritato l’Oscar come miglior attore non protagonista che ottenne l’anno successivo per la sua interpretazione nel film di John Ford.
La carriera di Mitchell naturalmente continuò: nel 1946 interpretò lo zio Billy nel classico di Natale La vita è una cosa meravigliosa di Frank Capra, ancora insieme a James Stewart, e nel 1952 il sindaco Henderson in Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann, insieme a Gary Cooper e Grace Kelly, un altro film che ha codificato il western. Thomas Mitchell ha lavorato moltissimo in teatro, compreso quello musicale, ed anche nella nascente televisione e nel 1953, insieme a Helen Hayes, soprannominata la First Lady del teatro americano, fu il primo attore a conquistare un Oscar, un Tony e un Emmy. Dopo di lui, saranno pochissimi gli attori a vantare una simile tripletta.
Ma torniamo al 1939, oltre a tutti i film che ho già citato, credo occorra ricordarne alcuni altri: Le avventure di Sherlock Holmes – il secondo della serie con il grande Basil Rathbone, uno dei più famosi “cattivi” di Hollywood – La voce nella tempesta di William Wyler con Laurence Olivier, Uomini e topi di Lewis Milestone con Burgess Meredith, un altro bravissimo attore, la cui carriera fu stroncata dalla “caccia alle streghe” del senatore McCarthy e che ormai ricordiamo solo come il vecchio allenatore di Rocky Balboa. E poi ci fu Ninotchka di Ernst Lubitsch, il regista tedesco che, insieme a Dieterle e molti altri, in quel 1939 fecero grande il cinema americano, proprio perché erano fuggiti dall’Europa in cui cresceva la bestia fascista. Curiosamente una commedia che metteva alla berlina l’Unione sovietica di Stalin, che da lì a qualche anno diventerà l’indispensabile alleato per sconfiggere Hitler. Il film fu lanciato con il celebre slogan Garbo laughs!: la prima – e ultima – commedia per l’algida regina di Hollywood venuta dalla Svezia, che si ritirerà dalle scene dopo qualche anno. E Greta Garbo era bellissima – probabilmente la più bella – anche quando rideva.
Merita ricordare, per terminare questa brevissima storia dei film del 1939, chi vinse l’Oscar l’anno successivo. Abbiamo già detto del meritatissimo premio a Thomas Mitchell, che ritirando l’Oscar disse: “Non sapevo di essere così bravo.”
Curiosamente il premio per il miglior attore non andò né a Gable, né a Stewart, né a Olivier, ma a Robert Donat, che oggi abbiamo dimenticato. I membri dell’Academy premiarono l’attore inglese perché aveva interpretato un personaggio in varie fasi della vita, da giovane a vecchio, in Addio, Mr Chips! di Sam Wood. Un discreto film, ma credo sia uno dei rarissimi casi in cui è meglio il remake, in questo caso il film del 1969 di Herbert Ross con Peter O’Toole e una spumeggiate Petula Clark.
Agli Oscar del 1940 Via col vento fece la parte del leone: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura, miglior fotografia a colori, miglior montaggio, miglior scenografia. E alle migliori attrici, protagonista e non protagonista. E se il premio a Vivien Leigh era in qualche modo atteso, fu una sorpresa quello per la non protagonista. Erano in nomination nella categoria Olivia de Havilland e Hattie McDaniel e vinse proprio lei, per la sua interpretazione di Mami, la prima attrice nera a vincere un Oscar.
Per il ruolo furono fatti molti provini, che però sembrarono inutili quando la First Lady Eleonor Roosevelt telefonò a Selznick per raccomandare la propria governante, ma il produttore riuscì a resistere e, anche grazie all’insistenza di Gable che aveva già lavorato con lei, fu scelta Hattie che era conosciuta per ruoli comici. L’attrice non poté prendere parte alla prima proiezione del film, che avvenne il 15 dicembre al Loew’s Grand theater di Atlanta: i neri non erano ammessi in sala.
Non c’era neppure l’attore inglese Leslie Howard: il 1° settembre era scoppiata la guerra e lui era stato richiamato.
Victor Fleming nel ’39 diresse anche un altro film destinato a entrare nella storia del cinema: Il Mago di Oz. Come in Ombre rosse, anche qui, un gruppo di “irregolari”, lo spaventapasseri senza cervello, l’uomo di latta senza cuore e il leone senza coraggio sono destinati a diventare eroi. Mentre Dorothy canta Over the rainbow: tra qualche anno i soldati americani canteranno questa canzone mentre combattono in Europa e in Estremo oriente. Over the rainbow è un inno alla speranza. Ma le speranze in quel 1939 erano destinate a infrangersi. Per sempre.

If happy little bluebirds fly beyond the rainbow
why, oh why can’t I?

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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