Sergio Segio

Del “movimento dei movimenti” oggi non si ricorda né l’origine né la fine. Tuttavia, spiega Sergio Segio, “le sue ragioni sono più che mai attuali ed evidenti e le sue analisi continuano a costituire un giacimento anche di proposte. Da questa consapevolezza bisognerebbe ripartire…”

Alla fine degli anni Novanta, a cavallo del cambio di secolo, prese corpo, forma e forza il grande movimento altermondialista(comunemente mistificato dai media mainstream sotto l’etichetta “no global”), nato nel 1998 e decollato l’anno successivo con le mobilitazioni contro l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) a Seattle. Si trattò di una prima battaglia vincente. Un piccolo, micidiale, cuneo era stato ficcato negli ingranaggi della globalizzazione economico-finanziaria e della liberalizzazione commerciale, dunque nel potere e nei profitti delle grandi corporation.

Un intollerabile inceppamento di una strategia da tempo lucidamente tesa a un nuovo ordine globale, dopo che quello bipolare precedente, stabilizzato dalla Guerra fredda e dalla divisione del mondo in blocchi, era venuto meno, franando su sé stesso. Un ordine spesso tragico, ma anche in alcuni tratti caratterizzato da rivoluzioni emancipative di popoli schiacciati dal colonialismo e da sistemi economici disumani, nonché, nella seconda metà del secolo, pure in Occidente, da grandi conquiste sociali, da un forte progresso delle forze del lavoro e da un significativo avanzamento di istanze democratiche e di libertà civili.

La seconda potenza mondiale

Le vicende del luglio 2001 a Genova sono state la sanguinosa dimostrazione di come quel governo sovranazionale non possa tollerare interferenze e di come conservi memoria – lui sì – e timore dei processi di emancipazione, conquiste e progressi avvenuti nel secolo scorso.

In quelle giornate genovesi si sono confrontate senza mediazioni due visioni del mondo. È in quel momento che le ragioni della forza iniziano a prevalere sulla forza della ragione: una “macelleria messicana” a esecuzione italiana e regia internazionale, una inequivocabile manifestazione dell’avvenuto – e costitutivo – divorzio tra democrazia e processi di globalizzazione, con gli orrori di Bolzaneto, le torture alla scuola Diaz e l’evidenza di apparati di polizia intrisi di cultura fascista e di omertà mafiosa.

15 febbraio 2003

Tuttavia, ancora due anni dopo quel composito movimento globale dimostrò una vitalità e dimensione sorprendenti: il 15 febbraio 2003 in ogni angolo del pianeta, contemporaneamente, si manifestò “Contro la guerra, senza se e senza ma”. 110 (Centodieci) milioni di persone, un evento unico da sempre. Il giorno successivo il New York Timesdefinì quel movimento «la seconda potenza mondiale».

Quel movimento non esiste più, pur se esistono encomiabili tentativi di tenerne in vita almeno intuizioni e tensioni. La memoria, difatti, è premessa indispensabile per il cambiamento del presente. Anche – o forse soprattutto – quando è memoria di sconfitta e di sconfitti.

Le lucide ragioni di quel movimento

Del “movimento dei movimenti” oggi non si ricorda né l’origine, né la fine: nell’anniversario dell’uccisione di Carlo Giuliani solo una piccola e orgogliosa pattuglia di giovani ed ex giovani continua a ritrovarsi con i genitori di Carloin quella piazza Alimonda, alcuni con ancora sul corpo le cicatrici di quei giorni di infamia istituzionale.

Se la seconda potenza mondiale si è frammentata, ammutolita e sin quasi dissolta, le sue ragioni sono più che mai attuali ed evidenti e le sue analisi continuano a costituire un giacimento anche di proposte. Da questa consapevolezza bisognerebbe ripartire.

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*Curatore del Rapporto sui diritti globali

https://comune-info.net/le-ragioni-di-quel-movimento/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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