di Sharon Lerner

Per decenni la Coca Cola ha lustrato con donazioni a organizzazioni di riciclaggio non a fini di lucro  la sua immagine pubblica di società che ha cura dell’ambiente. Contemporaneamente, da uno dei marchi più inquinanti del mondo, la Coca ha silenziosamente combattuto tentativi di chiamare la società a rispondere dei rifiuti plastici.

Un audio di una riunione di leader del riciclo, ottenuto da The Intercept, rivela come la filantropia “verde” del gigante delle bibite gassate ha contribuito a reprimere quello che avrebbe potuto essere uno strumento importante per combattere la crisi della plastica e getta luce sulle tattiche dietro le quinte che le società delle bevande e della plastica hanno tacitamente usato per decenni per sottrarsi alla responsabilità per i loro rifiuti. La riunione del gruppo di coalizione noto come Atlanta Recycles ha avuto luogo al Center for Hard to Recycle Materials [Centro per i materiali di difficile riciclo) nella parte sud di Atlanta.

Tra gli argomenti all’ordine del giorno degli esperti del riciclo c’era una donazione in arrivo ad Atlanta quale parte di una campagna multimilionaria che la Coca stava lanciando “per promuovere le percentuali di riciclo e contribuire a ispirare un movimento di base”. Ma è presto divenuto chiaro che una possibile via per promuovere le percentuali di riciclo – un’imposta sulla bottiglia – era fuori discussione.

Ecco John Seydel, direttore dell’Office of Resilience del sindaco di Atlanta:

“Una cosa che volevo sollevare qui, semplicemente riflettere, assicurarsi di guardare ad altre città e stati per politiche che spingerebbero a più… o incentiverebbero un maggiore riciclo. E io penso sia passato parecchio tempo da quando lo stato della Georgia aveva appena preso in considerazione qualcosa come un’imposta sulla bottiglia. Penso che sia qualcosa meritevole di considerazione”.

Seydel aveva ragione. Se fossero stati davvero interessati ad aumentare la percentuale di riciclo, un’imposta sulla bottiglia o una cauzione sul contenitore, che richiede alle società delle bevande di aggiungere un costo al prezzo della loro bevanda, da rimborsare quando [il contenitore] è restituito, sarebbe qualcosa davvero meritevole di considerazione. E’ molto più probabile che le persone restituiscano le loro bottiglie se esiste un incentivo finanziario. Gli stati con un’imposta sulla bottiglia riciclano circa il 60 per cento delle loro bottiglie e lattine,  rispetto al 24 per cento di altri stati. E gli stati che hanno un’imposta sulla bottiglia hanno anche una media del 40 per cento di minori rifiuti di bevande nelle loro coste, secondo uno studio del 2018 di Stati Uniti e Australia pubblicato dalla rivista Marine Policy.

Ma le imposte sulla bottiglia pongono parte della responsabilità – e del costo – del riciclo a carico delle società che producono i rifiuti, il che può essere il motivo per il quale la Coca e altre società delle bevande gassate hanno a lungo combattuto contro di esse.

“Le dirò che la risposta è un grosso no”.

Parla Gloria Hardgree, direttore esecutivo della Georgia Recycling Coalition, un’organizzazione che riceve finanziamenti dalla Coca Cola. E lei era sicura che la duratura benefattrice della sua organizzazione sarebbe fermamente contraria a un’imposta sulla bottiglia:

“Con l’investimento che la Coca si sta preparando a fare ad Atlanta e in altre principali città degli Stati Uniti con ‘World Without Waste’ [Mondo senza rifiuti] non parteciperà a una simile discussione”.

Il programma ‘World Without Waste’ citato dalla Hardgree è quello che la Coca chiama il suo “piano olistico” per riciclare entro il 2030 ogni bottiglia e lattina che produce. E’ un obiettivo superbo, e molti direbbero che è irrealistico, specialmente senza leggi statali o nazionali sulle cauzioni. Ma la Hardgree ha chiarito di non attendersi che la Coca cedesse e che il denaro dipendeva dal non premere per questa efficace strategia di riciclo.

“Possiamo o farlo a modo loro, oppure possiamo rinunciare, sapete, al finanziamento che loro si stanno preparando a offrire”.

Kanika Greenlee, direttrice esecutiva della commissione Keep Atlanta Beautiful [Manteniamo bella Atlanta] e vicepresidente di Keep America Beautiful, che riceve finanziamenti dalla Coca, si è detta d’accordo che la società con sede ad Atlanta probabilmente avrebbe ritirato i fondi se il gruppo avesse deciso di appoggiare un’imposta sulla bottiglia. La Greenlee è anche direttrice di programmi ambientali per la città di Atlanta.

Sì, il mio timore è che… non che l’imposta sulla bottiglia non sia qualcosa di cui meriti parlare, ma sento che può compromettere il finanziamento che abbiamo in atto”.

La Coca non è la sola società di bibite gassate che probabilmente si opporrebbe a un’imposta sulla bottiglia. Ecco di nuovo la Hardgree, in risposta a una domanda posta da Seydel:

Se la Coca fosse d’accordo, chi altro si opporrebbe?”

“Tutti quelli che sono nell’industria delle bevande e dell’imbottigliamento: Pepsi, Coca, Dr. Pepper”.

Richiesto circa i suoi commenti alla riunione, Seydel ha detto di attenersi a essi. Ha anche elogiato i recenti tentativi della Coca di produrre bottiglie con la plastica rinvenuta nell’oceano. “E’ veramente forte che stiano pensando fuori dagli schemi”, ha detto Seydel. “Le cose stanno cambiando e loro devono cambiare”.

In una e-mail Gloria Hardgree ha scritto che lo scopo della riunione di gennaio era esaminare il piano annuale di lavoro del gruppo. “La questione della politica è stata introdotta fuori contesto da un’altra persona presente”. La discussione sull’imposta sulla bottiglia, ha scritto la Hardgree in un’altra e-mail, “è stata una piccola parte di una riunione annuale di pianificazione che ha affrontato obiettivi e progetti del gruppo a sostegno di un riciclo complessivo per la città”.

Kanika Greenlee non ha risposto a richieste di commenti. Un portavoce di Keep America Beautiful ha detto che all’incontro la Greenlee rappresentava la città di Atlanta e la Commissione Keep Atlanta Beautiful.

In una risposta via e-mail a domande di The Intercept un rappresentante della Coca Cola ha affermato che la società ha assegnato una donazione alla Recycling Partnership per sostenere un programma comunitario di riciclo ad Atlanta mirato ad aumentare le percentuali di riciclo nei cassonetti, migliorare la raccolta, espandere il riciclo in residenze multifamiliari e aumentare il riciclo nei campus universitari. L’e-mail ha segnalato che nessuno della società era presente alla riunione e che “le idee della società sulle politiche pubbliche sono indipendenti dalla beneficienza elargita dalla Fondazione Coca Cola”.

Colpa dei consumatori

Anche se altre società delle bibite gassate si sono opposte a imposte sulla bottiglia, la Coca dovrebbe saperla più lunga di tutti riguardo a quanto possano avere successo le cauzioni nell’indurre i clienti a restituire le loro bottiglie. La società è stata pioniera del sistema. Per decenni la Coca Cola è stata disponibile soltanto in bottiglie di vetro a rendere. Nel 1948, quando i consumatori di Coca versavano una piccola cauzione – circa metà di quanto pagavano per la bevanda – restituivano quasi il 96 per cento delle caratteristiche bottiglie scanalate, secondo uno studio condotto quell’anno dallo United States Resource Conservation Committee [Comitato degli Stati Uniti per la Tutela delle Risorse].

Ma tutto ciò è cambiato dopo che la Coca ha cominciato a passare a bottiglie di plastica, negli anni Cinquanta. Con l’accumularsi dei rifiuti il pubblico ha cominciato a premere sulla società perché se ne assumesse la responsabilità. La Coca ha contrattaccato con durezza con una strategia a due punte, aggredendo i tentativi di costringere l’industria a far fronte ai suoi rifiuti e contemporaneamente promuovendo il messaggio che del problema erano invece da incolpare i consumatori. Entrambe le strategie sono state in larga misura attuate da organizzazioni dal nome generico, operanti per conto della Coca e di altre società delle bibite gassate e dell’imbottigliamento, tenendo contemporaneamente i nomi del loro marchi fuori dalla vista del pubblico.

Nel 1953, subito dopo l’approvazione da parte del Vermont della prima imposta sulla bottiglia del paese, un gruppo di società delle bevande e dell’imballaggio, assieme alla Philip Morris, hanno fondato l’organizzazione anti-rifiuti Keep America Beautiful. “Keep America Beautiful fu una diretta reazione a ciò che era avvenuto nel Vermont”, ha detto Susan Collins, presidente del Container Recycling Institute, un’organizzazione californiana senza fini di lucro dedicata allo studio e al miglioramento del riciclo nell’America del Nord.

La strategia della Coca di usare altre organizzazioni per trasmettere il proprio messaggio si dimostrò utile. Nel 1968, quando furono proposte leggi statali e federali che avrebbero reso obbligatorie le cauzioni su contenitori non restituibili, la Coca non esercitò pressioni lobbistiche contro di esse, almeno non pubblicamente. Il lavoro per sconfiggere le proposte di legge fu compiuto invece dalla National Soft Drink Association, finanziata dalla Coca. Al tempo stesso, Keep America Beautiful stava facendo sapere alla gente che “mantenere belli gli Stati Uniti è compito vostro”. Quelli che fallivano in tale compito erano “imbrattatori” o, come l’organizzazione non profit rese fastidiosamente chiaro in un video quell’anno, maiali.

In risposta a domande per questo articolo, Noah Ullman, un portavoce di Keep America Beautiful, ha scritto in una e-mail che “KAB non è contro le imposte sulla bottiglia. Noi riteniamo che tutte le opzioni per affrontare il riciclo, comprese leggi sulle cauzioni, debbano essere sul tavolo e valutate. Questa non è una posizione nuova per KAB”.

Contemporaneamente la Coca si stava costruendo un’immagine societaria familiare, amica del pianeta. Nel 1971, stretta tra due scontri legislativi in cui lobbisti finanziati dalla Coca Cola e da altri produttori di bevande sconfiggevano proposte di leggi federali che avrebbero vietato bottiglie non restituibili di bevande, la Coca diffuse la sua oggi nota pubblicità della “cima della collina”.  Pur mentre l’associazione commerciale che sosteneva stava silenziosamente bloccando la creazione di un sistema nazionale che avrebbe potuto gestire gli enormi rifiuti che avrebbe continuato a produrre, pubblicamente la Coca stata fondendo permanentemente il suo marchio con “alberi di mele e api del miele e tortore bianche come la neve”.

Un grande sussidio all’industria delle bevande

La Coca Cola produce oggi 117 miliardi di bottiglie di plastica l’anno, secondo sue stesse stime, un numero incalcolabile di miliardi delle quali finisce bruciato o gettato in discarica e nella natura. La Coca è stata responsabile di più rifiuti di qualsiasi altra società in una pulizia globale della plastica del 2018 condotta dal gruppo di sostegno Break Free From Plastic [Liberiamoci dalla plastica], con plastica a marchio Coca rinvenuta lungo le coste e in parchi e strade di 40 dei 42 paesi partecipanti.

Sul fronte politico la sua pressione contro l’imposta sulla bottiglia ha avuto largamente successo. Solo dieci stati hanno oggi imposte sulla bottiglia in vigore, la maggior parte delle quali approvate negli anni Settanta e Ottanta. La Georgia, dove era tenuta la riunione dei leader del riciclo, non è tra essi. Come la maggior parte del paese e del mondo, lo stato si trova inondato di plastica. Nei primi sei mesi soltanto di quest’anno la Georgia ha esportato 21,6 milioni di chili di rifiuti plastici, la maggior parte dei quali sono finiti in paesi poveri, con scarsa capacità di gestirli, tra cui India, Indonesia, Malaysia, Pakistan, Senegal, Tailandia, Turchia e Vietnam.

Perché la Coca e le altre industrie delle bevande si sono battute così aspramente contro l’imposta sulla bottiglia? “Al cuore della cosa c’è un impegno a non essere responsabili dei loro contenitori”, ha affermato la Collins, del Container Recycling Institute. “Alla fin fine tutto si riduce a una spesa e loro preferirebbero che fosse qualcun altro a sostenerla”.

Secondo Collins, il finanziamento da parte dell’industria di organizzazioni locali non a fini di lucro è stato un importante strumento per sconfiggere l’imposta sulla bottiglia. “La Coca Cola e altre industrie delle bevande finanziano in una certa misura le organizzazioni di riciclo di ogni stato e usano tali fondi in modi influenti”, ha detto.  “Esercitano pressioni su tali organizzazioni perché parlino contro le leggi sulla cauzione per i contenitori delle bevande”. Se la Cosa sostenesse apertamente la tesi contro l’imposta sulla bottiglia, sarebbe percepita come mossa da interesse di parte. “Ma quando le parole arrivano dalle bocche di professionisti del riciclo”, ha detto la Collins, “specialmente da organizzazioni di riciclo di portata statale, allora quelle parole hanno un certo peso”.

I decenni di sforzi della Coca  dietro le quinte sono riusciti a trasferire il costo della gestione dei rifiuti dalla Coca e dal altre industrie delle bevande a programmi municipali di riciclo, secondo Bartow Elmore, uno storico e autore di “Citizen Coke: The Making of Coca-Cola Capitalism”. La Coca “ha preso qualcosa che la società doveva gestire e che doveva pagare e realmente l’ha trasferita al pubblico”, ha detto Elmore, che ha descritto il riciclo dei rifiuti finanziato dai contribuenti emerso in assenza di una sistema nazionale di cauzioni come “un grande sussidio che abbiamo finito per concedere all’industria delle bevande”.

Il riciclo mantenuto disfunzionale

Le organizzazioni non a fini di lucro finanziate dall’industria delle bevande e della plastica si sono messe di traverso ad altri tentativi significativi di affrontare il riciclo, secondo Mitch Hedlund, direttrice esecutiva dell’organizzazione non profit Recycle Across America. La Hedlung ha incontrato ad agosto il consiglio di amministrazione di Keep America Beautiful per discutere l’uso dei etichette standardizzate per i contenitori del riciclo. Le etichette contribuiscono a prevenire la contaminazione del flusso dei rifiuti, che è parte del motivo per cui solo circa un quinto della nostra spazzatura è riciclato. Usate in distretti scolastici, parchi nazionali e in tutto lo stato del Rhode Island, le etichette standardizzate hanno realizzato riduzioni delle spese del ritiro della spazzatura e aumentato le percentuali di riciclo, secondo la rilevazione condotta da Recycle Across America. Ciò nonostante, Keep America Beautiful ha deciso di non usare le etichette, come la Hedlund ha appreso da una e-mail qualche giorno dopo.

La Hedlund ha affermato di non essere rimasta sorpresa che Keep America Beautiful – i cui membri del consiglio includono dirigenti di Coca Cola North America, della American Chemistry Industry e della Dow, il maggiore produttore di plastica del mondo – abbia alla fine optato per non utilizzare le etichette standardizzate. “Beneficiano tutti dal mancato funzionamento del riciclo”, la detto la Hedlund, la cui organizzazione ha sviluppato le etichette ma non ne beneficia finanziariamente. Ma ha detto di essere rimasta sorpresa quando la direttrice esecutiva dell’organizzazione, Helen Lowman, ha ammesso diversi giorni dopo che alcuni dei membri industriali del suo consiglio di amministrazione si erano messi di traverso al miglioramento del processo di riciclo da parte di Keep America Beautiful.

In una telefonata programmata dalla Hedlund con la Lowman per tirare le somme della riunione “ho detto, Helen, tu e la tua organizzazione siete fortemente compromessi da questi conflitti di interessi”, ha ricordato la Hedlund. “E lei ha detto: ‘Hai ragione. Hai ragione al cento per cento’”. La Hedlund ha detto di aver proseguito per dettagliare i motivi per i quali pensava che i produttori di plastica nel consiglio di Keep America Beautiful potessero opporsi a strategie che accrescono significativamente la percentuale di riciclo.

“E’ semplicemente chiaro che Recycling Partnership e Keep America Beautiful sono davvero influenzate pesantemente dalla industria della plastica vergine”, ha ricordato la Hedlund di aver detto alla Lowman. “Non ci sarà spazio per la soluzione delle etichette standardizzate a livello della società perché loro sanno che funziona e quando funziona sanno che ridurrà enormemente la quantità di produzione di plastica vergine che produrrebbero negli Stati Uniti e globalmente”. La Lowman ha concordato anche con questa valutazione, secondo la Hedlund.

Attraverso Ullman, portavoce di Keep America Beautiful, la Lowman ha affermato “di non ricordare quella citazione o il contesto della conversazione”, con la Hedlund. Ullman ha anche scritto in una e-mail che Keep America Beautiful “non è contro le etichette standardizzate. Pensiamo che una comunicazione e standardizzazione chiare siano parte della soluzione a un problema molto complesso”.

Ullman ha anche scritto che “abbiamo obiettivi allineati con [Recycle Across America], [Container Recycling Institute] e altri. Vogliamo tutti incoraggiare e promuovere il riciclo. Ma crediamo anche in un approccio tri-settoriale per realizzare questo, con organizzazioni non a fini di lucro, produttori e governo che collaborano. Sappiamo che alcuni non sono d’accordo con questo approccio. Noi lo consideriamo il modo migliore per realizzare i nostri obiettivi simili. Ci piacerebbe superare tutte queste discussioni semantiche e ottenere che alcune cose siano fatte”.

Una strategia globale

La Coca Cola risulta aver impiegato una strategia simile in tutto il mondo. La società sostiene organizzazioni ambientaliste e di riciclo in dozzine di paesi, tra cui Keep New Zealand BeautifulUkraine Without WasteKeep Britain Tidy, Ciudad Saludable a Lima e Keep Australia Beautiful.

Diversi mesi fa la Coca si è presentata a sostenere un programma di cauzioni sulle bottiglie in Australia.  E nel 2017 la società ha annunciato che avrebbe sostenuto un piano simile in Scozia. Tale annunciato è seguito alla diffusione di un documento fatto trapelare da Greenpeace che mostrava che la società aveva esercitato per anni in Europa pressioni lobbistiche contro i sistemi delle cauzioni e delle “quote riutilizzabili”.

Nella sua e-mail la Coca ha affermato: “Il Sistema Coca Cola partecipa a sistemi di cauzioni in tutto il mondo e lo fa da quarant’anni tra cui in Australia, Norvegia, Svezia, Germania, Austria e in tutta Europa”.

Tuttavia, gran parte della munificenza internazionale della società pare mirata a incoraggiare un senso di responsabilità personale per i rifiuti. Nel 2017 la Coca Cola Foundation ha versato 345.000 dollari all’American India Foundation Trust per sostenere gare di riciclo e “marce trimestrali di aumento della coscienza”, ad esempio, e  209.379 dollari a sostegno di una bonifica di detriti marini nei canali di Amsterdam e Rotterdam da parte di 3.600 scolari.

Tra le assegnazioni della Coca Cola Foundation in Indonesia c’è stato un dono di 172.129 dollari a un’organizzazione chiamata Yayasan Greeneration per “educare i turisti circa un turismo responsabile e sostenibile e per mettere in grado i locali di cominciare a gestire e ridurre i rifiuti per mantenere il proprio ambiente”, secondo l’elenco delle assegnazioni versate dalla fondazione nel 2017.

Ma la nazione isolana continua a essere invasa dalla plastica, in gran parte della Coca Cola, secondo Nina van Toulon, fondatrice e direttrice della Indonesian Waste Platform. “Vai nel villaggio più remoto qui, a ore da qualsiasi posto, e ci sono acqua e Coca in bottiglia. Ma poi la gente del villaggio le brucia”, ha detto la van Toulon, che vive nell’isola di Flores. “Queste società hanno fatto lo sforzo di far arrivare i loro prodotti in questi villaggi, ma non fanno lo sforzo di riportar via la plastica dai villaggi”.

La donazioni filantropiche che incoraggiano soluzioni graduali e danno all’industria delle bevande una “immagine verde” fanno parte del problema, ha detto la van Toulon. “Tutte queste ONG sono molto vulnerabili perché non hanno fondi”.

I residenti di Hulhumalé, Maldive, sono incorsi in un problema simile. Bottiglie di plastica imbrattano le strade e le coste di questa isola dell’Asia Meridionale lunga un miglio e mezzo. Ripulirle costa più di un milione di dollari l’anno. Così quattro residenti hanno fatto squadra per affrontare il problema, ottenendo un finanziamento dal Programma di Sviluppo dell’ONU e da una società locale di telecomunicazioni, Ooredoo Maldives. Il loro progetto pilota, un piano di cauzione-rimborso per le bottiglie di plastica terminato a maggio ha prodotto la restituzione dell’81 per cento delle bottiglie di plastica.

Ma tale successo si è avuto nonostante l’ostruzionismo della Coca Cola, secondo Afrah Ismail, membro della squadra che ha creato il programma pilota. Anche se un rappresentante locale della Coca aveva affermato in una riunione iniziale che la società avrebbe sostenuto il progetto, Ismail ha detto che successivamente essa ha rifiutato di fornire i suoi dati di produzione, necessari per stabilire obiettivi del riciclo. La squadra si è incontrata con i tre maggiori venditori di acqua imbottigliata delle Maldive, tra cui la Coca, che possiede i marchi locali Bonaqua e Aquarius.

“Di queste tre società [la Coca Cola] è stata la meno rispondente”, ha detto Ismail, che ha segnalato che i rappresentanti locali della società non avevano familiarità con la promessa della Coca Cola di riciclare entro il 2030 tutte le bottiglie che produce. “La nostra intera squadra ha sentito che stavano cercando di ritardare il progetto pilota. Abbiamo sentito che cercavano di sabotare l’intera cosa”.

La Coca Cola non ha commentato la descrizione di Ismail della sua esperienza con la società, ma ha segnalato il suo sostegno a “un’azione collaborativa sulla raccolta degli imballaggi” con un finanziamento alla Packaging and Recycling Alliance for Indonesia Sustainable Environment [Alleanza degli imballaggi e del riciclo per la sostenibilità dell’ambiente indonesiano] che “sostiene soluzioni di gestione sostenibile e integrata dei rifiuti in Indonesia”.

Alla fin fine può non importare se la Coca aiuti o ostacoli il piano della piccola isola di cauzioni sulle bottiglie.  Le Maldive hanno annunciato l’intenzione di eliminare  progressivamente, entro il 2023 come nazione, la plastica usa e getta. Nel frattempo introdurranno piani estesi di responsabilità dei produttori, quali le cauzioni sulle bottiglie.

Le Maldive non sono sole nel passare a questo approccio semplice ed efficace al montare delle bottiglie in tutto il mondo. Negli ultimi due anni c’è stata una rinascita internazionale dell’entusiasmo per l’imposta sulla bottiglia. Nel gennaio del 2017 appena meno di 300 milioni di persone vivevano in luoghi che avevano leggi sulle cauzioni, secondo un articolo recente della rivista Resource Recycling.  Da allora cauzioni sui contenitori sono state messe in atto in Romania, Regno Unito, India e Turchia, tra altri paesi. Entro il 2021, quando i nuovi programmi saranno operativi, il numero di persone con leggi sulle cauzioni sarà raddoppiato a 600 milioni. Ed entro il 2030 il numero è atteso raggiungere almeno il miliardo.

Qui negli Stati Uniti pare che stiamo andando nella direzione opposta. I programmi di recupero dei contenitori sono andati chiudendosi di recente. E le organizzazioni non a fini di lucro finanziate dall’industria delle bevande, tra cui Keep America Beautiful e le sue 707 affiliate locali, hanno un ruolo fondamentale su come i rifiuti plastici sono bonificati, o non lo sono.

Il loro denaro è particolarmente influente dopo la decisione della Cina di non accettare rifiuti plastici, il che ha reso proibitivamente costoso il riciclo in un numero crescenti di città. “C’è un assegno che incombe sulla testa di tutti”, ha detto Hedlund di Recycle Across America. Nonostante la realtà dietro le quinte, le vaste risorse delle industrie delle bevande e della plastica consentono ai gruppi che finanziano di comunicare che loro guidano la carica per migliorare il riciclo. “Pubblicamente dicono di essere a favore di tutto ciò che funziona”, ha detto Hedlund. “Ma i divieti funzionano, i programmi di recupero funzionano, e le etichette standardizzate funzionano, e loro sono contro tutto questo”.

Ad Atlanta la plastica non sarà sottoposta a un’imposta sulla bottiglia in tempi brevi. Dopo che Seydel aveva introdotto l’idea, nella sala è scoppiata una discussione accesa.

(Audio della discussione) “OK, su questo ci fermiamo qui”.

Alla fine il gruppo ha deciso di prendersi i soldi, con allegate le condizioni sulla plastica.

“E’ super eccitante. E’ un mucchio di soldi”.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:  https://zcomm.org/znetarticle/how-coca-cola-undermines-plastic-recycling-efforts/

Originale: The Intercept

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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