Lo confesso: in cucina sono un conservatore. Al limite del fondamentalismo: mi corre un brivido lungo la schiena alle parole “tortellini alla panna”. So che quando vado a Milano posso teoricamente mangiare di tutto, visto che in quella grande città ci sono ottimi ristoranti di tutti i generi, ma finisco praticamente tutte le volte per mangiare i piatti della cucina tradizionale. Come faccio nelle altre città che Zaira e visitiamo.
Se vado nella città ambrosiana mi piace mangiare i mondeghili con la polenta. Si tratta di polpette, e naturalmente come per tutti i piatti che nascono per riutilizzare gli avanzi non può esistere una ricetta codificata. Cosa c’è di più tradizionale e insieme contadino e proletario di una polpetta? Sono davvero tra i miei piatti preferiti, a ogni latitudine. Poi, oltre che essere appassionato di cucina, mi piace l’etimologia e così ho scoperto che questa parola lombarda deriva dallo spagnolo albondeguito – che significa appunto piccola polpetta – che viene a sua volta dall’arabo al-bunduc. Perché le parole spesso fanno questi strani giri e raccontano storie che non sappiamo o che, se sappiamo, preferiamo dimenticare.
Amo molto anche il risotto alla milanese, il ris giald come dicono là. Anche zafferano è una parola che deriva all’italiano direttamente dall’arabo. E così la ricetta che deriva da una tradizione araba che risale almeno al Medioevo. Curiosamente a Milano il risotto giallo è arrivato dall’Europa del nord, visto che pare sia stato servito per la prima volta, nella seconda metà del Cinquecento, alla tavola di Valerio di Fiandra, che era uno degli artisti che stava realizzando le vetrate del duomo.
E poi c’è la cotoletta: come fai ad andare a Milano e non mangiarla? Qui so che il dibattito è acceso. Gli italiani sostengono che questo piatto derivi dal lombolus cum panitio citato da Pietro Verri come una delle portate del pranzo dei canonici di sant’Ambrogio dei giorni di festa. Ma gli austriaci dicono si tratti semplicemente della loro Wiener schnitzel, che i milanesi avrebbero scoperto grazie a Maria Teresa.
Per fortuna credo che tra i miei lettori non ci sia nessun leghista milanese: non vorrei che scoprisse così che la cucina della sua città – di cui va giustamente fiero – è meticcia, molto prima del sushi e del kebab, e della pizza.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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