Il rapporto è redatto da Corporate Europe Observatory, Food and Water Action Europe e da Re:Common.

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La macchina dell’industria per la produzione di idrogeno è in piena attività. Un’analisi di oltre 200 documenti ottenuti attraverso richieste di accesso agli atti rivela un’intensa e concertata campagna di lobbying da parte dell’industria del gas per spingere l’UE ad abbracciare l’idrogeno come la fonte energetica “pulita” del futuro, assicurando il sostegno politico, finanziario e normativo per un’economia basata proprio sull’idrogeno, sia che derivi da combustibili fossili, sia che venga prodotto da fonti rinnovabili. Questo rappresenta un grave pericolo per il clima e per le comunità e gli ecosistemi colpiti dall’estrazione dei combustibili fossili.

Per la loro attività di lobbying pro-idrogeno, le aziende del settore del gas hanno dichiarato una spesa annua complessiva di 58,6 milioni di euro per cercare di influenzare la politica delle istituzioni comunitarie, anche se si sospetta che la cifra sia sottostimata.

Questi sono i fatti principali emersi dalla ricerca.

  • L’industria dell’idrogeno ha incontrato i commissari europei Timmermans, Simson, Breton e i loro gabinetti 163 volte sui temi dell’energia tra dicembre 2019 e settembre 2020, a fronte di 37 incontri tra alti funzionari della Commissione e le Ong.
  • Le porte girevoli si sono sprecate: l’ex vicedirettore generale per l’energia, Klaus Dieter-Borchardt, uno dei funzionari più influenti della Commissione in materia di gas e idrogeno, ha lasciato il suo posto per entrare a far parte dello studio legale Baker McKenzie. È stato accolto dall’ex collega Christopher Jones, che è stato anch’egli vicedirettore generale per l’energia ed è diventato esponente di spicco del team McKenzie Hydrogen.
  • La società di pubbliche relazioni FTI consulting ha svolto un ruolo di primissimo piano, fondamentale per la creazione della lobby dell’idrogeno. Negli USA si è scoperto che FTI era responsabile della creazione di false organizzazioni di base a sostegno dei combustibili fossili per conto delle major petrolifere. È dietro Hydrogen Europe e l’Hydrogen Council, i gruppi di lobby più attivi sul fronte dell’idrogeno.
  • La strategia europea sull’idrogeno della Commissione, pubblicata nel luglio 2020, è molto simile alle richieste del gruppo di lobby Hydrogen Europe, compresi gli obiettivi e gli investimenti necessari per l’idrogeno sia all’interno che all’esterno dell’UE. Il costo complessivo degli investimenti richiesti è di 430 miliardi di euro entro il 2030.
  • La Commissione Europea ha posto l’industria del gas al centro di molti nuovi organismi focalizzati sull’idrogeno, come la “Clean Hydrogen Alliance”, incaricata di redigere una lista di progetti sull’idrogeno che possono avere accesso a fondi pubblici. Si tratta di un evidente conflitto di interessi.
  • Fra il 2014 e il 2020, l’industria dell’idrogeno ha avuto accesso a oltre 1 miliardo di euro di fondi pubblici per i suoi progetti, il tutto grazie al partenariato di ricerca pubblico-privato “Celle a combustibile e idrogeno – Impresa comune” tra la Commissione europea e Hydrogen Europe.
  • I progetti sull’idrogeno godranno ora del sostegno normativo e finanziario dell’UE, delineato, tra l’altro, nella Strategia Europea sull’Idrogeno e nella Strategia Industriale della Commissione Europea, e saranno anche spinti nelle prossime revisioni del Regolamento sulle Reti Transeuropee per l’Energia (TEN-E) e della Direttiva sulle Energie Rinnovabili. I progetti relativi all’idrogeno avranno anche accesso ai flussi di finanziamento UE nuovi ed esistenti, come il Piano di Investimento Sostenibile, il Recovery and Resilience Facility, il Connecting Europe Facility, e attraverso la revisione delle regole sugli aiuti di Stato a favore degli “Importanti progetti di interesse comune europeo – IPCEI”.
  • La tecnologia di “cattura e stoccaggio/utilizzo del carbonio” (CCS/U), che non ha funzionato finora, è in fase di resurrezione e sta ricevendo un sostegno politico, finanziario e normativo in modo che l’UE possa giustificare l’inclusione dell’idrogeno a base di combustibili fossili nei suoi piani climatici per il 2050.
  • La rete di gasdotti per la distribuzione di gas fossili dell’UE, sovradimensionata e sottoutilizzata, è stata ribattezzata dall’industria come la futura “spina dorsale dell’idrogeno” dell’Europa. A breve termine si mescoleranno piccole quantità di idrogeno nei gasdotti esistenti, per poi riconvertirli totalmente a idrogeno a più lungo termine. La Commissione Europea sembra sostenere i piani dell’industria, che darebbero il via libera alle aziende che costruiscono e gestiscono infrastrutture per il gas fossile.
  • La “Spina dorsale dell’idrogeno” viene utilizzata dall’industria e dagli Stati membri per far risorgere mega progetti controversi come il gasdotto franco-spagnolo-portoghese MidCat, che è stato rigettato per motivi climatici.
  • Snam è una delle corporation che più hanno spinto la narrazione sull’idrogeno nelle varie sedi europee, fa parte della coalizione “Gas for Climate” (Gas per il clima), che a luglio 2020 ha presentato il progetto della “European Hydrogen Backbone”, la spina dorsale dell’idrogeno dell’Europa. Snam fa inoltre parte di Hydrogen Europe e dell’Hydrogen Council, e il suo amministratore delegato Marco Alverà si è presentato al nuovo commissario europeo per l’Energia Kadri Simson consegnandogli il suo libro sull’idrogeno. Allo stesso tempo, Alverà è il presidente di Gas Naturally, il principale gruppo di pressione delle aziende del gas europee.

“L’industria del gas e dei combustibili fossili ha pesantemente influito nella definizione delle politiche europee sull’energia, sull’industria e sul clima, riuscendo a spingere l’idrogeno prodotto da fossili come la “nuova soluzione” per la decarbonizzazione in Europa. Il risultato è una pesante ipoteca sul nostro futuro, che blocca la vera transizione e ci vincola alle fossili e a presunte tecnologie di decarbonizzazione – come il CCS – estremamente costose e la cui efficacia è ancora tutta da provare” ha dichiarato Elena Gerebizza di Re:Common. “Il rischio di investire miliardi di euro del Recovery Plan e del Green Deal europeo in questa evidente “distrazione” che va a tutto vantaggio del settore fossile è molto alto, e non ce lo possiamo permettere” ha aggiunto Filippo Taglieri di Re:Common.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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