Profughi afghani in partenza.


Francesco Cecchini


AFGHANISTAN.
Il 30 agosto gli Stati Uniti con un giorno di anticipo rispetto alla data concordata hanno lasciato lAfghanistan. Alle 11:59 p.m. decollò l’ ultimo aereo con truppe americane dall’ aeroporto di Kabul. Se ne andarono anche l’ ambasciatore e un generale. La paura di nuovi attentati da parte dei jihadisti dellIsis-K, con gli allarmi lanciati fino allultimo dal Pentagono che ancora in giornata aveva parlato di minacce reali e specifiche di altri attacchi terroristici, ha accelerato le operazioni. Il generale Kenneth McKenzie, capo del comando centrale Usa ha dichiarato:In Afghanistan non è rimasto un solo soldato americano. Il ritiro di stasera significa sia la fine dellevacuazione del materiale militare che la fine di quasi 20 anni di missione iniziata poco dopo l11 settembre.
I Talebani hanno gridato subito vittoria, facendo festa, sparando in aria a salve e gridando Allahu akbar!”, Allah è grande!”. Il mattino dopo sono entrati allaeroporto internazionale Hamid Karzai per celebrare il ritiro degli ultimi militari americani e il loro portavoce Zabihullah Mujahid, ha tenuto una conferenza stampa, dichiarando: “Questa vittoria appartiene a tutti noi lEmirato islamico è una nazione libera e sovrana. Vogliamo avere buoni rapporti con gli Stati Uniti e con il mondo intero. Apriremo a relazioni diplomatiche con tutti”.
In Afghanistan, però c’ è pace, ma anche ancora guerra, in quanto la vittoria dei Talebani non è completa. I jihadisti dellIsis-K sono nemici dei Talebani che li combatteranno come hanno combattuto Usa e Nato. Nel Panshir c’ è Ahmad Massoud, con migliaia di combattenti, che vuole elezioni democratiche e un nuovo governo. Inoltre nel Panshir vi sono milizie tagiche, gruppi di soldati dell’ esercito nazionale afghano. Sempre nel aPanshir vi è il vicepresidente Amrullah Saleh, che in armonia con la Costituzione afghana agisce da Capo dello Stato supplente. Etinie come gli uzbechi, gli hazara, oltre ai tagichi sono tradizionalmente ostili ai pasthun, l’ etnia dei Talebani. In Conclusione i Studenti delle Scuole Coraniche, i Talebani, hanno vinto gli Stati Uniti (che però hanno dichiarato che potrebbero intervenire per difendere coloro che vogliono abbandonare il paese) e la Nato, ma non hanno vinto l’ intero Afghanistan,
COLOMBIA.
Il 20 agosto scorso il presidente Iván Duque assieme all’ ambasciatore degli Stati Uniti Philip Goldberg, informò che 4000 afghani sarebbero stati ospitati in Colombia, dichiarando”, : La Colombia si unisce al gruppo di paesi alleati che offriranno sostegno agli Stati Uniti per quelle persone, cittadini dell’Afghanistan, che hanno fornito aiuto agli Stati Uniti per anni e che sono in procinto di trasferirsi e migrare in quel paese , in modo che siano temporaneamente in Colombia.”
Il servilismo della Colombia con gli Stati Uniti è storico e raggiunse il suo apice con il “Plan Colombia”, un programma multimilionario di aiuti militari per combattere la guerriglia con il pretesto del traffico di droga.
La Colombia è ora costretta a rispondere positivamente agli Stati Uniti e ignorare con questa decisione. i propri conflitti interni. Solo nel 2021, questo Paese ha registrato 67 massacri e 112 omicidi di leader sociali ed ex guerriglieri , secondo INDEPAZ, Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz. Inoltre, i colombiani sono insoddisfatti della politica del presidente Iván Duque. La disapprovazione supera il 60%, secondo i sondaggi effettuati dopo la protesta sociale e gli scioperi scatenati dallo scorso aprile.
Conclusione. La decisione del governo di Iván Duque non fa parte di un gesto di solidarietà internazionale o umanitaria, ma è un’ imposizione degli Stati Uniti. Questa decisione di accogliere i 4.000 afgani non nasce da un atteggiamento incline al rispetto del diritto internazionale, così spesso violato in Colombia, ma dal fatto che il Paese è suddito degli Stati Uniti.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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