Matteo Bortolon 

La tutela dei diritti umani è ritenuta una delle grandi conquiste della modernità, in specie la tutela della dignità delle persone in condizioni di prigionia: processi sommari, tortura, maltrattamenti, privazioni arbitrarie del sonno, isolamento coatto e simili sono guardati con disgusto come spregevoli relitti di epoche barbare e incivili. 

Se la forma più ricorrente della difesa di tali diritti prende spesso la strada legale molto anglosassone di referti di infrazioni di una serie di norme riconosciute dagli Stati, tale modalità pare abbia raggiunto un punto di logoramento quasi irreversibile col caso di Julian Assange. In questo caso più che in altri è importante individuare il contesto storico, gli attori e le motivazioni politiche.

 A dircelo con dovizia di dettagli e ragionamenti l’autore di questo testo: Il processo a Julian Assange. Storia di una persecuzione, di Nils Melzer (Fazi editore, 2023) con la prefazione di Stefania Maurizi (uno dei pochi esponenti del giornalismo che ha tenuto la schiena dritta sul punto, anche pagando un prezzo significativo). L’autore non solo è un giurista del massimo livello, ma ha ricoperto il ruolo di relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura. Un testo sconvolgente, appassionante come un romanzo, in cui si documenta non solo una sconcertante serie di abusi, manovre di servizi segreti, ipocrisie e basse macchinazioni politiche di alcuni dei paesi normalmente presi ad esempio come fulgidi modelli di democrazia, ma un fallimento così plateale dello stato di diritto in relazione al libero esercizio del giornalismo da far pensare che l’Occidente abbia davvero preso una china irredimibile. Ma andiamo con ordine.

Julian Assange è diventato celebre quando la sua organizzazione, WikiLeaks, ha divulgato documenti che rivelano comportamenti controversi, equivoci o scorretti di vari governi. Contrariamente ai luoghi comuni non ha mai avuto alcun sostegno o collaborazione con Stati considerati autoritari quali Russia, Cina, Iran; l’organizzazione ha disvelato segreti imbarazzanti per molti di loro in merito ad abusi, corruzione, e simili. Ma la notorietà è arrivata quando si sono disvelati documenti riservati di governi occidentali, in specie degli Usa in Afghanistan e Iraq, alcuni riguardanti crimini di guerra ed abusi rivoltanti al di là di ogni dubbio. Assange e i suoi perseguono l’obiettivo di rendere disponibile una piattaforma a chi volesse denunciare crimini ed abusi in modo anonimo, migliorando in prospettiva le azioni dei governi: se i crimini hanno la possibilità di venire alla luce gli Stati saranno indotti a non commetterne o quanto meno a non lasciar correre. Purtroppo, come il testo testimonia, la reazione è stata molto diversa. In ogni caso la base ideologica di WikiLeaks enfatizza molto la trasparenza e il ruolo dell’opinione pubblica come cane da guardia verso gli apparati che tendono a perseguire obiettivi incompatibili con lo status democratico. Nulla di particolarmente sovversivo o rivoluzionario, come si potrebbe desumere da come trattano il caso molto commentatori e gran parte del mondo della politica.

Assange dal 2010 in poi ha subito delle grane giudiziarie che lo hanno messo in cattiva luce presso l’opinione pubblica; ha subito una limitazione significativa della propria libertà sebbene in modi tortuosi e controversi. Mentre, va osservato, gli autori dei crimini da lui disvelati hanno goduto di una impunità pressoché totale.

In questo testo Melzer ricapitola con pazienza e puntualità il caso. Prima di tutto riassume le accuse, i processi, le motivazioni di quella che si può denominare una vera e propria persecuzione basata sostanzialmente sul nulla. Ma va oltre, ed esamina le motivazioni eminentemente politiche di questa vicenda: anziché correggere i propri comportamenti USA e Uk hanno lanciato tutta la potenza dei loro apparati per perseguire legalmente chi aveva denunciato tali abusi (ma era stata accarezzata l’eventualità dell’omicidio mirato). Infine si considerano le ricadute sulla libertà del giornalismo, lo Stato di diritto e la democrazia. I tre livelli sono continuamente mescolati nel libro; se si trattasse semplicemente di un accanimento verso una singola persona il libro avrebbe un rilievo simile ai tanti casi di infrazione arbitraria di diritti di oppositori che avvengono in molti paesi ad opera di governi autoritari, dittature e regimi. Invece dietro a tali fatti si intravede il retroterra che fa capire il perché, ed i motivi suonano inquietanti in quanto testimoniano un preoccupante declino di diritti e democrazia.

È noto che i problemi di Assange risalgono ad una investigazione in merito a violenza sessuale in Svezia riguardo due donne. L’autore, che legge correntemente lo svedese, ha potuto consultare la documentazione in lingua originale del primo procedimento contro Assange da parte di alcuni magistrati di tale paese e ne ricostruisce il contorno. Si resta senza fiato dalla mole di manipolazioni che taluni inquirenti hanno fatto, portando forzosamente verso l’accusa di stupro il tutto, spifferando ai giornali fatti e nomi senza alcun riguardo per la privacy ed addirittura alterando la deposizione di una delle presunte vittime – che non avevano alcuna intenzione di denunciare Assange, ma solo di capire in che modo fare pressione su di lui affinché facesse il test dell’HIV. La polizia e la procura svedese ci hanno ricavato una accusa di violenza sessuale, anche senza alcun elemento indiziario significativo e trasgredendo i loro più elementari protocolli. Il modo in cui si crea un caso del tutto artefatto facendo sponda sui media per colpire Assange lascia sbigottiti. C’è molto da riflettere sul modo in cui si può imbastire procedimenti pilotati malevolmente contro personaggi scomodi, al di là di ogni elementare standard di tutela dei diritti dell’accusato (ma anche delle due ragazze, trascinate nel ciclone mediatico che ha assunto rilevanza mondiale) e di accertamento dei fatti. Non si esagera se si dice che tali fatti colpiscono a fondo l’immagine del paese; le autorità svedesi, per esempio, hanno intercettato i messaggi delle due donne i cui contenuti scagionavano Assange, ma col pretesto della privacy non ne hanno permesso l’accesso ai suoi avvocati se non dopo un anno (!) e pure in quel caso ne hanno proibito la trascrizione; la procura ha inoltre impedito l’accesso a tali sms agli stessi giudici (!!!) che dovevano decidere la proroga del mandato di arresto. La procuratrice Marianne Ny emerge come uno dei personaggi più torbidi, più adeguati ad una repubblica delle banane che ad un paese che si fa vanto di essere una democrazia avanzata. Se un domani si scoprissero suoi collegamenti con i servizi svedesi non ne resteremmo sorpresi.

Il punto più importante da chiarire è che Assange non è fuggito da nulla: è restato un mese intero nel paese nordico, in cui si era recato per una conferenza, a sue spese  in attesa di farsi interrogare; quando alla fine ha lasciato la Svezia il magistrato ha scelto proprio quel giorno per convocarlo, emettendo un mandato di arresto europeo. Non c’è mai stata una incriminazione, ed in presenza di così scarsi elementi indiziari l’indagine avrebbe dovuto essere archiviata velocemente, non tenuta in vita con la scusa di dover interrogare il sospetto – ma evitando di farlo: finché Julian non è ripartito procrastinando, quando era in Uk rifiutandosi di recarsi sul posto o di operare in collegamento, quando esistono standard ben sperimentati e quotidianamente usati per gestire questo tipo di situazioni.

È così – prosegue il testo – che di fronte alla possibilità di essere estradato negli USA (che infatti stavano preparando una incriminazione) Assange ha chiesto ed ottenuto asilo nella ambasciata londinese dell’Ecuador. Inizia così una lunghissima prigionia, con la polizia britannica pronta a prenderlo all’esterno, con grandissimo dispiegamento di forze e ingenti costi. Per quanti sospetti di un reato che devono semplicemente essere interrogati si mobilitano decine di agenti giorno e notte per assicurarsi che non scappi? Le forzature delle autorità britanniche sono così manifestamente in malafede che non si può che correre alla conclusione che il paese che è ritenuto patria del parlamentarismo e dell’habeas corpus possa allegramente gettare alle ortiche stato di diritto, garanzie giuridiche ed imbastire processi sommari come la più malfamata dittatura. 

Anche chi considera Assange una vittima del sistema può considerare eccessiva l’accusa di tortura formulata dal professor Melzer contro le autorità britanniche. Il testo spiega diffusamente le ragioni: prima di tutto Julian è stato visitato da due medici specializzati in vittime di tortura che sulla base della loro riconosciuta competenza professionale ne hanno stabilito il declino fisico e mentale. Sarebbe il caso di notare che taluni giornalisti e commentatori in merito ad accusati (non sospettati, si noti) di tangenti messi al fresco hanno denunciato la carcerazione preventiva come tortura, mentre di fronte al Relatore speciale dell’ONU sulla… tortura, supportato dalla competenza di due medici di riconosciuta professionalità, sminuiscono la gravità sulla base della propria antipatia politica. Dove non arriva la disonestà intellettuale.

In secondo luogo Melzer spiega che tortura non è soltanto fisica, ma pure psicologica; non è soltanto infilare le matite sotto le unghie o cose del genere, ma “l’interazione combinata di quattro elementi: intimidazione, isolamento, arbitrio e umiliazione” (p. 107) costituiscono tortura psicologica. Va notato che tanto nell’ambasciata dell’Ecuador negli ultimi tempi quanto in carcere la prigionia è stata un vero a proprio isolamento; a mano a mano che il governo di Quito si avvicinava agli Stati Uniti, la permanenza di Julian ha visto un incremento di limitazioni (niente più internet, contatti esterni, visite rarefatte) e una sorveglianza h24 ad opera della società privata che era incaricata della sicurezza, che in realtà ha passato sotto banco tutto quanto agli americani – anche agli sporadici visitatori venivano sequestrati cellulare e documenti, debitamente aperti, scandagliati e fotografati; un incubo da StaSi insomma . Quando nel 2019 alla fine il nuovo presidente dell’Ecuador – in trattativa con gli Usa per ottenere vantaggi commerciali, guarda un po’- ha ritirato asilo e cittadinanza permettendo l’arresto di Assange, gli inglesi lo hanno rinchiuso in una prigione di massima sicurezza con un duro regime di detenzione; un semplice sospetto oggetto di un mandato di cattura per essere semplicemente interrogato, e poi solo reo di aver evaso gli arresti domiciliari…

Straziante la descrizione dell’ignobile processo-farsa imbastito per l’estradizione negli Usa. Rinchiuso in una cabina di vetro antiproiettile, Assange nella udienza del 24 febbraio 2020, era distante dai suoi legali con i quali non poteva interloquire o scambiare documenti; la giudice negò la possibilità di sedersi con loro sostenendo che occorreva chiedere il rilascio su cauzione (!!!); inoltre l’audio dell’aula impediva di sentire bene tanto al pubblico in sala che allo stesso imputato tanto la giudice che il magistrato dell’accusa. È veramente conturbante pensare che nel cuore dell’Europa del 2020, sotto gli occhi di tutto il mondo – vista la notorietà del personaggio e le ovvie implicazioni politiche – si sia consumato un processo che nega in forme così meschine la possibilità di difesa, con la detenzione in regime di isolamento per 23 ore al giorno. Il Gruppo di Lavoro dell’ONU sulla detenzione arbitraria (una violazione tipica dei regimi) prese una dura posizione in merito. Le autorità britanniche, tanto pronte a denunciare la lesione dei diritti umani in varie parti del mondo (specialmente quegli stati cui l’idea di essere gli zerbini degli Usa non entusiasma eccessivamente, al contrario di quella manica di mediocrità che appestano l’informazione italiana) se ne sono bellamente fregate, limitandosi ad esprimere la non condivisione di tali posizioni.

Resta l’ultimo tassello: le accuse degli Usa. Un primo atto d’accusa venne formulato nel 2018, e ne sono stati emessi altri due, nel maggio 2019 e nel giugno 2020. Il tenore delle accuse è cresciuto: mentre in un primo momento ci si limitava all’accusa di complicità in intrusione informatica e di aver aiutato l’autore materiale della sottrazione illecita a coprire le proprie tracce, nelle versioni successive ci si riferiva a spionaggio e all’accusa di aver messo in pericolo delle persone con la diffusione di tali documenti segreti, prefigurando ben 175 anni di carcere.

Il processo si terrebbe nella Espionage Court in Virginia con giuria popolare. Il problema è che i residenti di tale zona – fra cui verrebbero scelti i giurati – sono per lo più persone con amici e parenti (o loro stessi) che lavorano per la CIA, il Pentagono, la sicurezza nazionale, i contractors dell’intelligence, quindi ovviamente ostili all’imputato. Senza contare che i procedimenti per questioni di sicurezza nazionale si svolgono a porte chiuse, con prove non accessibili alla difesa. Un buco nero del diritto che susciterebbe l’approvazione della Inquisizione controriformista e dei nazisti. Infatti nessuno in quel foro è mai stato prosciolto.

Tale accanimento pare sospendere le più elementari garanzie giuridiche che motivi ha? E quali conseguenze?

La prima domanda ha una risposta semplice: dissuadere altri da divulgare segreti di Stato, anche se disvelano crimini ed abusi dei più raccapriccianti. Gli apparati della anglosfera e i loro alleati non hanno alcuna intenzione di accettare le limitazioni della pubblica opinione alle loro azioni e prerogative. Perciò occorre mettere in atto tutti gli strumenti per gettare in galera chi si è permesso di farlo.

Il novero delle conseguenze è più complesso ed incerto da valutare. Abbastanza evidente è la perdita di autorevolezza degli Stati euroatlantici. In una intervista il presidente Aliev, capo di stato dell’Azerbaigian, alla giornalista britannica che lo incalzava in materia di libertà democratiche rispondeva negando il fatto che ci sia uno stato di oppressione nel suo paese, poi inquisiva con energia la giornalista in merito al caso Assange: mi accusate di essere illiberale, ma Assange per cosa è stato perseguitato? Come fate a dire che c’è libertà di stampa nel vostro paese quando lui per tale attività viene imprigionato in modo arbitrario?

A prescindere dalla credibilità del personaggio – in ogni caso due torti non fanno una ragione – il comportamento vergognoso delle autorità britanniche e statunitensi non solo inficia la loro reputazione e credibilità internazionale, ma colpisce pure tutti i media occidentali.

In maniera più radicale, la persecuzione giudiziaria del giornalismo investigativo che disvela crimini e nefandezze nuoce al principio di base della democrazia. Melzer scrive: “il caso Assange non riguarda affatto Julian Assange; si tratta infatti dell’integrità delle istituzioni che sono alla base della nostra concezione dello Stato di diritto” (p. 13). Anche senza sposare per intero l’enfasi tipicamente nordamericana dei media liberi che tutelano la democrazia opponendosi al potere bisogna riconoscere l’importanza di tale principio proprio perché nel caso in questione è avvenuto l’opposto. Il testo descrive come i media dominanti si siano prestati alle manipolazioni politiche per far passare Assange come un sospetto stupratore, un hacker, un narcisista, un irregolare che vuole essere al di sopra della legge, raccattando quello che la polizia faceva uscire per costruire una narrativa di comodo a bella posta. Infatti la violenza sessuale è uno dei crimini più odiosi, e cosa si può immaginare di più funzionale a volgere l’opinione pubblica contro il fondatore di WikiLeaks? Come scrive Melzer, se l’organizzazione ha puntato il riflettore sui misfatti del potere, gli Stati coinvolti lo hanno rivolto di forza contro una singola persona per distruggere la sua reputazione. La Svezia in particolare si è rivelata un docile cagnolino a rimorchio degli Usa – e la precipitosa richiesta di entrare nella NATO conferma questo dato – tanto da piegare le proprie norme a finalità politiche. In sintesi,

Il caso di Julian Assange è un caso di corruzione politica in cui istituzioni giudiziarie e processi sono stati – e sono tutt’ora- sfruttati per scopi politici: per reprimere la libertà di stampa e di informazione; per lasciare impuniti casi di tortura e crimini di guerra; per perseguitare politicamente i dissidenti e per tenere segrete macchinazioni incompatibili con la democrazia è lo Stato di diritto (p. 25).

Anche i giornali che hanno ricavato considerevoli vantaggi dallo scoop delle rivelazioni nel 2010 collaborando con Assange non l’hanno difesa; per inciso lui ha voluto un lavoro giornalistico in collaborazione con varie testate per la verifica dei documenti e la selezione di quelli che potevano mettere a rischio collaboratori degli Usa per evitare che la divulgazione mettesse a rischio la vita di tali persone; i media conservatori hanno spesso insistito su questa accusa, ma la procura Usa non è riuscita a produrre un singolo nome di qualcuno che sia stato ucciso o messo in pericolo dalle rilevazioni.

Il fatto che un testo simile sia stato scritto da una figura molto istituzionale è la misura di un logoramento democratico notevole. Ma è pure la vera bancarotta politica del campo progressista di establishment. I crimini e gli abusi disvelata da WikiLeaks sono per lo più derivanti dal decennio dominato dalla Guerra al Terrorismo di Bush, con le guerre di invasione di Afghanistan e Iraq e la costruzione dei dispositivi securitari di sorveglianza globale, sequestri illegali ecc.; gli scandali sono scoppiati sotto Obama, che non solo ha coperto i responsabili negli anni successivi, ma ha perseguitato le fonti come nessun altro presidente prima di lui – unica eccezione la grazia a Chelsea Manning a fine mandato. Il resto del mondo progressista ha seguito: giornali come il Guardian hanno scritto che WikiLeaks avrebbe fatto vincere Trump nel 2016, e le accuse di collusione coi russi (del tutto prive di basi, come abbiamo già detto) hanno allontanato il sostegno di tale parte politica. Il mondo progressista – sinistra di establishment si è sempre più identificato in modo manicheo con la parte buona del conflitto tra democrazie e autoritarismi, fino al deprimente spettacolo della “sinistra con l’elmetto”, ventre a terra al verbo della NATO che tocca vedere oggi. È così che a dicembre 2021, a fronte della mozione del gruppo parlamentare Alternativa che avrebbe impegnato il governo a concedere ad Assange lo status di rifugiato politico (primo firmatario Pino Cabras) la Camera dei deputati l’ha respinta con il voto contrario di Lega, Pd, Forza Italia e l’astensione di M5S, Fratelli d’Italia (meglio del Pd…) e LEU. A tutti coloro che si sono riempiti la bocca con informazioni inesatte e che hanno rifiutato la protezione con triti luoghi comuni – se non con l’argomento che non si può irritare gli Usa, una affermazione di una pavidità stomachevole -farebbe bene leggere il testo di Nils Melzer. Forse qualcuno cambierebbe idea, anche se ne dubitiamo: per cambiare idea bisogna averne una

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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