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L’inflazione ha annientato la ripartenza dei redditi dei cittadini italiani, riportandoli in termini reali addirittura sotto i livelli pre-Covid, con una perdita totale di oltre 6 miliardi di euro rispetto al 2019. Lo ha registrato l’ufficio economico di Confesercenti, che, insieme a CER, ha svolto un’indagine sui dati Istat riferiti ai redditi delle famiglie e all’occupazione. Dai risultati dell’elaborazione è emerso che, tra il 2019 ed il 2023, in valori nominali, il reddito medio delle famiglie del nostro Paese è passato da poco più di 38.300 euro a oltre 43.800 euro l’anno. Un salto di più di 5.500 euro, la cui portata è stata però completamente annullata dall’inflazione, come dimostra il fatto che, nel 2023, al netto dell’impennata dei costi, il reddito reale medio per famiglia si è attestato a 254 euro, segnando un -0,7% rispetto a quello del 2019.

Nello specifico, a pesare in maniera importante sul dato negativo è il netto calo dei redditi da trasferimenti pubblici, che includono pensioni, indennità e altri sussidi, i quali vanno a registrare un -1.819 euro rispetto al 2019. Se il reddito medio in termini reali da lavoro dipendente ha visto un mini-aumento pari a 180 euro, a reggere l’urto dell’aumento dei prezzi sono stati, in particolare, i redditi medi da lavoro autonomo (professionisti, imprenditori, partite IVA), che, al netto dell’inflazione, l’anno scorso è stato superiore a 43.600 euro, circa 1.600 euro in più rispetto ai livelli pre-pandemia del 2019. A crescere – precisamente per un importo pari a 1.178 euro – è anche il reddito derivato da altre fonti, voce che fa riferimento ai redditi da capitale, da patrimoni, da rendite finanziarie e simili. Diversa è anche la situazione regione per regione. Il reddito medio delle famiglie è infatti cresciuto solo in nove regioni, in maggioranza site nel quadrante Nord dello Stivale. Primeggia la Valle D’Aosta, con +2.951 euro sul 2019, seguita da Basilicata (+2.907), Lombardia (+1.930 euro), le province autonome di Trento (+1.639 euro) e Bolzano (+2.237 euro), Umbria (+1.391 euro), Sicilia (+1.007), Friuli-Venezia Giulia (+483 euro), Veneto (+241 euro) e Puglia (+150 euro). A registrare la flessione peggiore è la Sardegna, con -4.000 euro rispetto al 2019. Se i redditi reali calano, in quattro anni è invece costantemente cresciuto il numero di occupati, che sono aumentati di circa 394mila unità, passando da 23,1 milioni a 23,5 milioni.

Come attestato da un recente rapporto del Centro studio di Unimpresa, il fattore inflazione ha avuto un peso estremamente rilevante anche nel crollo del saldo totale dei depositi bancari delle famiglie italiane, costrette a erodere i risparmi per fronteggiare l’aumento dei prezzi. La quota dei depositi è scesa nell’ultimo anno di ben 66 miliardi (-5,6%), da 1.170 miliardi a 1.104 miliardi. Dal rapporto – in cui sono stati rielaborati dati statistici della Banca d’Italia – è emerso che una parte consistente del denaro sui conti correnti è stata spostata sui deposti per i quali le banche riconoscono tassi di remunerazione in media superiori al 3%. Gli analisti del Centro studi di Unimpresa hanno evidenziato come la riduzione dell’inflazione da oltre il 10% di fine 2022 al 5% circa di oggi non abbia prodotto una discesa dei prezzi. Essa è stata invece inquadrata come una “discesa virtuale”, dal momento che “il costo della vita continua a salire, con l’unica differenza che la curva è meno ripida rispetto a qualche mese fa”. Unimpresa ha confermato che il quadro inflattivo che l’anno scorso ha segnato l’Europa, anche se con alcune significative differenze tra i Paesi che hanno subito l’aumento dei prezzi, è mutato “come non era mai accaduto nella storia dell’euro”.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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