I “ceti riflessivi” bloccano la circolazione del senso tra politica e realtà, con la loro autoreferenzialità, chiusi a riccio e impermeabili all’esperienza. Ma dalla loro hanno i media e l’influenza.
I “ceti riflessivi” e il problema della democrazia
È ormai evidente che i cosiddetti “ceti riflessivi” sono il problema del paese. È una sacca a cui si può raccontare di tutto, priva di memoria minima, incapace di ricordare e collegare ciò che gli è stato detto poco prima con ciò che gli viene detto ora. Non coglie contraddizioni che persino un cieco vede.
Raccontano loro la storiella X, la realtà mostra l’opposto, e loro continuano a credere alla nuova storiella che viene loro raccontata. Basta che sia un “giornale riflessivo“ a farlo.
Non capisce niente ma ha la spocchia del saputello. Discetta di storia e politica per categorie a priori, non conosce i fatti ma usa i controfattuali.
Non sono ceti riflessivi, ma autoreferenziali, chiusi a riccio e chiusi rispetto alla realtà. Loro se la suonano e loro se la cantano.
Impermeabili all’esperienza, pretenderebbero che la realtà si adeguasse alle loro menti illuminate.
Ma l’incapacità di apprendere dall’esperienza è il segno distintivo della stupidità.
Purtroppo la stupidità ha giornali, potere, influenza. Non può produrre nulla, ma può impedire la cosa più necessaria in questo paese: la circolazione del senso tra politica e realtà.
E dove questa è bloccata emerge una crisi del sistema nel suo complesso.
A bloccare questa circolazione sono i “ceti riflessivi”. Essi sono il tappo, l’origine della crisi della democrazia, della rappresentanza, della mobilità di idee e persone.
Le masse popolari sono anni luce più avanti di loro nella capacità di decodifica, nella percezione della realtà e della posta in gioco essenziale oggi.
Uno scollamento grave tra sistema culturale e mondo delle interazioni quotidiane, che richiede una nuova responsabilità, forse la responsabilità, e nessuna complicità con questa sacca di superbia e ignoranza.